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Full text of "Jurassic News 57"

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Retrocomputer Magazine 


Anno il - Numero 57 - Febbraio 2016 

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Jurassic Neivs 

Rivista aperiodica di Retrocomputer 

Coordinatore editoriale: 

Tullio Nicolussi [Tn] 

Redazione: 

redazione@jurassicnews.com 

Hanno collaborato a questo numero: 
Lorenzo [L2] 

Salvatore Macomer [Sm] 

Sonicher [Sn] 

Besdelsec [Bs] 

Lorenzo Paolini [Lp] 

Mario Raspanti 
Gizmo 

Emery Fletcher 
Damiano Cavicchio 


Diffusione: 

Lettura on-line sul sito o attraverso 
il servizio Issuu.com; il download è 
disponibile per gli utenti registrati. 

Sito Web: 

www.j ur assicne ws. com 

Contatti: 

info@jurassicnews.com 

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dei rispettivi proprietari. 

La riproduzione con qualsiasi 
mezzo di illustrazioni e di articoli 
pubblicati sulla rivista, nonché 
la loro traduzione, è riservata e 
non può avvenire senza espressa 
autorizzazione. 

Jurassic Neivs 

promuove la libera circolazione 
delle idee 


Jurassic News 

E’ una fanzine dedicata al retro- 
computing nella più ampia accezione del 
termine. Gli ai'ticoli trattano in generale 
dell’informatica a partire dai primi anni 
‘80 e si spingono fino ...all’altro ieri. 

La pubblicazione ha carattere 
puramente amatoriale e didattico, tutte 
le informazioni sono tratte da materiale 
originale dell’epoca o raccolte su Internet. 

La redazione e gli autori degli 
articoli non si assumono nessuna 
responsabilità in merito alla correttezza 
delle informazioni riportate o nei 
confronti di eventuali danni derivanti 
dall’applicazione di quanto appreso sulla 
rivista. 

Il contenuto degli articoli è frutto 
delle conoscenze, esperienze personali 
e opinioni dei singoli autori; possono 
pertanto essere talvolta non precise 
o differire da fonti “ufficiose” come 
Wikipedia e siti Web specializzati. 

Sono gradite segnalazioni di errori, 
imprecisioni 0 errate informazioni che 
possono, a discrezione della redazione, 
essere oggetto di errata-corrige in 
fascicoli successivi. 

Scrivere a: 

redazione&iur assicnews.com 

dettagliando il più possibile 
l’argomentazione. 


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Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 






Veterani cercasi. 


Come è lontana l’Inghilterra! 

Il museo nazionale “The National Museum of Computing 
(TNMOC)” con sede a Londra, nel famoso Bletchley Park, 
ha fra le sue iniziative dei veri e propri percorsi di retro¬ 
informatica che sono seguiti annualmente da circa 4500 

studenti delle superiori. 
Numerosissimi i progetti, le iniziative e importanti anche 
gli sponsor (l’ultimo è Fujitsu) che consentono di portare 

avanti iniziative di un certo spessore. 
Fin qui quello che manca in Italia, anche se le iniziative 

private ci sono 
e sono degne del 
massimo rispetto. 

La collezione ricca 
di reperti (uno per 
tutti il famosissimo 
Colossus) ha 
come massima 
numerosità il 
famoso micro BBC, 
uscito nel 1981 e diffusissimo come macchina da studio sia 

nelle scuole che nelle case inglesi. 
Ora questa numerosissima collezione di micro BBC 
abbisogna di cure e i volontari non sono mai abbastanza. 
Ecco dunque che il museo cerca veterani (proprio così li 
chiama) che abbiano dimestichezza con la macchina nei 
suoi aspetti, hardware, software e periferiche varie. 

L’obiettivo è la cultura. 

E le istituzioni pubbliche italiane? 

Assenti. 

C.v.d. 



Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 


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LAe ditoriate 


Veterani cercasi 




L'indecibilità (parte 2) 


TAMC 


ILr.acco.nta 


Automatik (27) - Nosferatus 


Gorne* eravamo 




Due nomi quasi dimenticati 






SNOBOL (parte 4) 


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Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 




























Jurassic News - II contenuto di questo fascicolo 


Revocarli pubwa- 


OK, il prezzo è giusto 



Lo sviluppo del linguaggio C 





Super QL 16. 


i L^òo^Qto ^rj fD^ 


Il mio Z80 




Biblioteca 


DELETE. A Design History of Computer Vapourware 




Geriatrie Linux 



Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 


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OK , il prezzo è giusto! 



di Tullio Nicolussi 


P eriodicamente se ne parla: qual 
è il valore di un retro computer e 
per conseguenza qual è il prezzo 
equo da sborsare per acquistarne uno? 
Nonostante ci sia qualche tentativo di 
compilare un listino identificando per ogni 
oggetto una fascia di prezzo, tali iniziative 
sono destinate a suscitare l’ilarità di molti e 
l’irritazione di altrettanti conoscitori e po¬ 
tenziali appassionati di reti'o informatica. 

Il problema non è l’impreparazione di chi 
compila i listini (svarioni a parte). Il fatto è 
che è ancora un mercato molto legato alla 
nazionalità. Cioè un sistema comune in Ita¬ 
lia, ad esempio VM24, potrebbe essere raro 
negli States e quindi spuntare un buon gap 
di diffeT'enziale di prezzo fra le due nazioni. 

Spesso anch’io mi sono trovato davanti al 
dilemma se comprare o desistere, al punto 
che come regola generale mi sono ripromes¬ 
so di non acquistare mai se il prezzo richie¬ 
sto supera i 50 Euro, qualunque sia lo stato 
dell’apparecchio proposto. 

50 Euro è una soglia psicologica più che 


un dato di valenza rispetto al prodotto. Tut¬ 
tavia sarei disposto a più di una eccezione 
se la richiesta riguardasse un pezzo parti¬ 
colarmente significativo. Non dico un pez¬ 
zo “raro”, per il quale le quotazioni esulano 
dall’aspetto retro-computer e sfociano nel 
campo della stima dei reperti artistici. Un 
Apple I non si discute, ovviamente! 

Già per un Lisa potrei anche arrivare ai 
100 Euro, ben conscio di star prendendo un 
qualcosa che non funziona o che è molto dif¬ 
ficile da riparare un giorno che avesse deci¬ 
so di “passare a miglior vita”. Non spenderei 
mai 100 Euro per un C64, nemmeno man¬ 
casse alla mia collezione, o per uno Spec- 
trum... 

Va bene, queste due ultime menziona¬ 
te sono macchine comuni, nel senso che si 
può ragionevolmente rifiutare l’acquisto 
oggi per trovare domani lo stesso prodot¬ 
to a prezzo equivalente o inferiore. Quindi 
una qualche idea della fascia di prezzo di un 
certo reperto la abbiamo: forse ce la siamo 
fatta mediando le aste su eBay? Può essere: 


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Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 




La filosofia del retrocomputing 


penso che chiunque ci faccia un giro su eBay 
prima di vendere/comprare qualsiasi cosa. 

Molti commentano il valore presunto della 
loro collezione, appena qualche incauto ven¬ 
ditore posta un articolo a prezzo esagerato. 
Queste “uscite dal seminato”, che apparen¬ 
temente sembrano tutte frutto dei tentativi 
di utenti non esperti del comparto, in realtà 
qualche volta ini fanno sospettare diversa- 
mente. 

Ho una opinione in proposito e cioè che ci 
siano due specie di venditori “fuori bersa¬ 
glio”: gli inconsapevoli e i furbastri. 

Dei primi c’è poco da dire: ci provano a 
vendere il loro bravo C64 a 200 Euro e il 
loro bravissimo Amiga 500 a peso d’oro. 
Ci provano e di solito sono sbeffeggiati con 
lazzi e sberleffi degni della migliore gogna 
mediatica. 

I secondi, cioè i furbastri, mi preoccupano 
un pochino di più. Ci sono quelli (almeno un 
paio in Italia) che vendono le macchine a 
pezzi. A seguire un attimo le loro aste si ca¬ 
pisce che hanno preso un computer, ponia¬ 
mo un Amiga, l’hanno smontato, tolti i chip 
e tentano di realizzare un totale largamente 
superiore a quello che ragionevolmente (e 
lo sanno bene) potrebbero ricavare da una 
macchina intonsa. 

E’facile fare due conti: so che potrei ven¬ 
dere diciamo a 100 Euro quell’Amiga com¬ 
pleto con una certa dotazione di software e 
con i suoi manuali. Ma invece ne ricavo 20 
pezzi (per non esagerare), che venduti a 15 
euro cadauno (cosa vuoi che siano 15 Euro 
quando ti serve proprio quel particolare?), 
ne ricavo 300 di Euro e comunque 150 se ne 
vendo anche solo 10. 

Ottenere 20 pezzi da un Amiga non è diffici¬ 
le se ci si mette di impegno, basta comincia¬ 
re con l’involucro, due manuali, un joystick, 
l’alimentatore, un disco esterno, tre giochi 
in confezione originale, un set completo di 
50 floppy usati con giochi a go-go, qualche 
rivista... E poi si comincia a smontare e via 


le ROM di kickstai't (quante ne abbiamo vi¬ 
ste su eBay?), la RAM, i chip Paula, etc..., 

Spero veramente di non stare dando stra¬ 
ne idee a qualcuno... 

Ammetto che recuperare un set di chip 
Amiga potrebbe risolvere il problema del 
sistema che abbiamo in casa e che risulta 
mancante proprio di ciò che viene offerto, 
ma dal punto di vista del conservatore non 
vorrei mai vedere un sistema funzionante 
smembrato per bramosia di qualche Euro! 

Inoltre c’è un effetto collaterale spiacevole: 
quando tizio ha venduto i pezzi più appetibi¬ 
li (e più cari) è facile che non si tenga in casa 
un case o una tastiera semi cannibalizzata, 
con il T'isultato che la rottamazione toglie 
definitivamente dalla circolazione quello 
che poteva essere un degno partecipante ad 
una collezione. 

Credo in ultima analisi che la lievitazione 
dei prezzi di qualche reperto, dichiarata- 
mente non funzionante, sia dovuta anche a 
questa pratica. 

Che fare? 

Non ho soluzioni. Potremmo tutti non com¬ 
prare pezzi singoli obbligando chi vende a 
quotare “vuoto per pieno” l’intera macchi¬ 
na. Potremmo stabilire ad esempio una 
quotazione massima per il sistema non fun¬ 
zionante, qualunque esso sia (nei limiti della 
possibilità di effettuare una classificazione 
omogenea). 

Tutte cose facili a dirsi ma di difficile rea¬ 
lizzazione. 

La cosa migliore però è il comportamen¬ 
to etico di ciascuno di noi e che credo debba 
far parte del bagaglio dell’appassionato di 
retro computer, così come di qualsiasi alti'o 
genere di collezionismo. 

(=) 


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Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 








Silicon Graphics - INDY 



di Mario Raspanti 


Incipit 

E’ ormai passato molto tempo dall’arti¬ 
colo sulla Silicon Graphics Indigo, appar¬ 
so su Jurassic News N0.27. Oggi vediamo 
la macchina che a questo modello ha fatto 
seguito, e che insieme alla successiva 02 ha 
forse rappresentato il modello più popolare 
di casa Silicon Graphics (o SGI). 


Il contesto 

iamo nel 1993. Presidente del Con¬ 
siglio è Carlo Azeglio Ciampi. Alla 
Casa Bianca si insedia Bill Clinton. 
Al cinema esce Jurassic Park, cui la stessa 
SGI ha pesantemente contribuito e che ap¬ 
parirà nella sua pubblicità dell’epoca (Buil¬ 
ding a better dinosaur). La Intel ha appena 
presentato il nuovo precessore Pentium 60 
MHz, e i PC di fascia alta già in circolazione 
sono dei 486DX-33 o 486DX2-66, di solito 
con 102 MBytes di RAM. Il sistema opera¬ 
tivo corrente è Windows 3.1, ma i giochi non 
sono ancora fatti e nel dubbio la stessa Mi¬ 
crosoft gli affianca anche la prima versione 
di Windows NT, anch’essa chiamata 3.1, e la 
versione 2.1 di OS/2, lenta e pesante (OS/2 
Warp è ancora lontano). Nel campo profes¬ 
sionale ci sono le workstation DEC 3000, la 
IBM RS/6000 e la SUN SparcStation 10. 

In questo contesto la Silicon Graphics so¬ 
stituisce la “piccola” di casa, ossia la sua 
prima e finora unica macchina desktop, di- 



Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 



Pro v.a, Hardware. 


L’analisi dei sistemi che hanno fatto l'informatica 


videndola in due modelli: 

La Indigo2, che della Indigo eredi¬ 
ta il nome e la destinazione professionale, 
è un enorme desktop/deskside (può essere 
montato anche in verticale con due appositi 
sostegni, forniti di serie) da circa 50 x 50 x 
15 cm e 20 Kg di peso, di un singolare colo¬ 
re verde/blu. La macchina è l'obustissima, 
performante e molto espandibile; in seguito 
conoscerà una seconda giovinezza con una 
seconda serie modificata, la Indigo2 Im¬ 
pact, con nuovi processori e nuove schede 
grafiche, e con la carrozzeria colore fucsia 
0 ). 

La Indy, più snella, leggera ed eco¬ 
nomica, è meno espandibile ma più versatile 
e già dotata di serie di una impressionante 
quantità di interfacce e connessioni. 

La macchina ojft'e di serie uri processore 
RISC ad almeno 100 MHz, grafica ad alta 
risoluzione con 16 milioni di colori ed accele¬ 
razione 3D, quattro canali audio, digitaliz¬ 
zatori audio e video incorporati, due diversi 
standard Ethernet, ISDN, due porte seriali, 
una SCSI, una parallela ed un sistema ope¬ 
rativo Unix-based con una interfaccia gra¬ 
fica evoluta. 

Mentre è facile a posteriori comprendere 
la destinazione commerciale della Indigo2, 
la Indy occupa una posizione più sfumata. 
A chi era indirizzata questa macchina, più 
brillante della sorella ma tutto sommato 
meno performante e ancor meno espandibi¬ 
le, ad un prezzo che (seppur basso in termini 
SGI) la separava comunque nettamente dai 
PC di fascia alta? Probabilmente la Indy è 
stata in qualche modo una macchina-esca, 
pensata per attirare verso iprodotti SGI una 
clientela più vasta ed eterogenea di quella 
già consolidata. Senza dubbio, il grande 
successo che ebbe (all’estero) nei computer 
center delle università ed affini avvicinò al 
marchio Silicon Graphics un vasto pubblico 
di studenti e futuri professionisti e, come ve¬ 
dremo, creò un vasto movimento di interes¬ 
se intorno alla macchina. 


La macchina 

La Indy si presenta quasi come un tipico 
desktop dell’epoca, ossia un parallelepipedo 
piatto a sviluppo orizzontale, di circa 40x35 
cm ed alto circa 8 cm, concepito per stare 
sotto il monitor (Figura 2). Non proprio ti¬ 
pico, perché la macchina ha diverse pecu¬ 
liarità di design: innanzitutto il colore è un 
blu acceso, movimentato da un particolare 
effetto granito, mentre tastiera ed accesso¬ 
ri hanno la stessa finitura ma in colore gri¬ 
gio. Un gradino atti'aversa obliquamente la 
macchina, movimentandone la forma. Di 
una estrema pulizia il design del frontale, 
dove non troviamo nessuna apertura ma 
solo il tasto di accensione con la relativa 
spia (Figura_3), un minuscolo tasto di re¬ 
set nascosto in una scanalatura e due tasti 
triangolari per la regolazione del volume (!) 
dell’altoparlante interno. Non è previsto un 
alloggiajnento interno per un CD o una uni¬ 
tà a nastro magnetico, che vanno collegati 
esternamente; è invece possibile montare 
un floppy drive interno, cui si accede dal 
fianco destro della macchina (Vedi la foto di 
apertura) e che deve avere l’espulsione sof- 


Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 


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tware (à la macintosh), perché non è previsto 
il solito pulsante. Come si vede, non è l’origi¬ 
nalità quella che manca. 

La Indy si apre sfilando verso Lavanti l’in¬ 
tera copertura plastica (detta skin in casa 
SGI). 

Il lato sinistro (vedi Figura_4) è intera¬ 
mente occupato dall’alimentatore, montato a 
sbalzo e trattenuto da una sola vite e da un 
incastro. Sul frontale troviamo in posizione 
centrale la CPU, montata su una propria 
scheda e pi'ovvista di una impressionante 
(per l’epoca) alettatura di raffreddamento, e 
a destra i dischi, rivolti come si è detto verso 
il fianco destro. La parte posteriore è occupa¬ 
ta dalla scheda madre, sulla quale è montata 
orizzontalmente la scheda video. Resta spa¬ 
zio per altre schede, da montare superior¬ 
mente a quest’ultimo. 

L’interno è molto pulito e le parti principali 
sono tutte rapidamente accessibili. Avendo i 
pezzi di ricambio, una Indy guasta 
può essere fatta ripartire in pochi 
secondi e con un normale cacciavite. 

La costruzione sembra invece deci¬ 
samente gracile in confronto alle al¬ 
tre macchine della stessa casa, tutte 
costruite come un carro annoto. In 
particolare il pesante alimentatore 
sembra decisamente posticcio, ma 
devo ammettere che non si è mai 
staccato. 


Come al solito in casa Silicon la 
stessa macchina era disponibile in 
varie soluzioni e configurazioni. Per 
la CPU erano disponibili non meno 
di dodici CPU diverse, tutti proces¬ 
sori MIPS RISC con velocità da 100 
a 200 MHz, qui elencati in ordine 
crescente di potenza: 

R4000PC-100 
R4000SC-100 
R4600PC-100 e 133 
R4600SC-133 

R4400SC-100,150,175 e 200 
R5000PC-150 
R5000SC-150 e 180 

La R4600 venne introdotta dopo la R4400, 
ma resta meno performante di quest’ultimo. 
Le versioni PC sono prive di una memoria 
cache interna e, a parità di clock, sono sensi- 
bilmente più lente delle versioni SC. La RAM 
(Figura_5) era costituita da comuni moduli 
SIMM tipo PS/2 con parità, 36 bit su 72 pin, 
usati anche sulla Indigo R4000 e sulla Indi- 
go2 e con una capacità fino a 32 MBytes per 
modulo. Per la particolare architettura i mo¬ 
duli devono essere inseriti in gruppi di quat¬ 
tro per volta. 

Le opzioni grafiche erano invece tre e, con le 
loro prestazioni tutto sommato vicine a quel¬ 
le della precedente Indigo, sembrano stra- 



Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 




















Prov.a , Hardware. 


L’analisi dei sistemi che hanno fatto /'informatica 



namente sotto tono per una macchina così 
innovativa: 

XL8 8 bpp, 1280x1024 oppure 1024x768, 
256 colori 

XL24 24 bpp, 1280x1024 oppure 1024x768, 
16 milioni di colori 

XZ 24 bpp, 1280x1024 oppure 1024x768, 
16 milioni di colori e accelerazione 3D. 

Nel complesso le prestazioni sono 
ottime in 2D, ma piuttosto anemi¬ 
che in 3D. Basti dire che la scheda 
XZ, l’unica con accelerazione 3D 
hardware, veniva sconsigliata sulle 
Indy R5000 perché in questo caso la 
CPU era più veloce della GPU a ge¬ 
stire le trasformazioni, e la presenza 
di una XZ rallentava la macchina. 
Naturalmente chi aveva bisogno di 
prestazioni veramente superiori ve¬ 


niva indirizzato verso un sistema Indigo2. 

Tutte le schede gestivano come abbia¬ 
mo visto due risoluzioni fisse: 1024x768 e 
1280x1024. La risoluzione poteva essere 
cambiata in software o automaticamente via 
hardware, tramite un contatto nel connetto¬ 
re video che, per i monitor SGI, riconosceva 
la periferica video in uso. 



Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 


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Lo spazio per i dischi (Figura_6) è molto ri¬ 
dotto e la Indy accetta al massimo due unità 
a mezza altezza, ognuna inserite in una pro¬ 
pria slitta a scatto in metallo molto razionale 
(Figura_y) e montate sovrapposte. L’unità 
inferiore di solito contiene l’hard disk; nel¬ 
la superiore può essere alloggiato un floppy 
disk o, come nella macchina qui raffigura¬ 
ta, un floptical da 21 MBytes (vedi Jurassic 
News No. 33). Tutte le unità sono natural¬ 
mente SCSI. Quando si montavano due hard 
disk veniva consigliato di limitarsi ad unità 
da 10.000 RPMpiuttosto che da 15.000 RPM, 
comuni sulle workstation high-end, per evi¬ 
tare problemi di surriscaldamento. Nel caso 
il bay superiore restasse inutilizzato la SGI 
raccomandava di lasciare comunque inseri¬ 
ta la relativa slitta metallica, che contribuiva 
a sopportare il peso del monitor sovrastante. 


Le interfacce 

Qui la Indy si rivela veramente difficile da 
battere, e il pannello posteriore (Figura_8) 
è praticamente una distesa di connettori. Da 
sinistra, in basso troviamo una fila di cinque 
prese jack stereo da 3.5 mm: nell’ordine tro¬ 
viamo la presa di cuffia, l’entrata microfono, 
l’entrata di linea, l’uscita di linea e l’in/out di¬ 
gitale, T'iconfigurabile via software in modo 
da ottenere quattro canali. Sopi'a a questi 
la grande presa 13W3 per il monitor (RGB, 
sync-on-green) e la piccola mini-DIN per la 
sincronizzazione degli occhiali stereo (stiamo 
parlando di vent’annifa!). 

Ricoi'diamo che in casa SGI la presa 13W3 
ha un cablaggio leggermente diverso da mo¬ 
dello a modello (e anche leggermente diverso 
da SUN, IBM ecc...) e che un adattatore VGA, 
necessario per connettere un monitor odier¬ 
no, non è detto che funzioni al primo colpo. 

Procedendo verso destra troviamo in suc¬ 
cessione tre ingressi video: un con¬ 
nettore RCA, un ingi'esso S-Video ed 
una porta video proprietaria, dedi¬ 
cata ad una speciale IndyCam (più 
olti'e) e vagamente somigliante ad 
un DVI. 

Sopi'a a questa abbiamo la presa 
D a 15 poli per una rete thick ether- 
net. Più in alto due tappi coprono le 
finestre dedicate ad eventuali schede 
accessorie. 

Procedendo verso destra, una eti- 



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Pro v,a, Hardware. 


L’analisi dei sistemi che hanno fatto /'informatica 



chetta con un triangolo rosso copre una pre¬ 
sa ISDN, che meccanicamente è uguale alla 
successiva presa di rete RJ45, onde evitare 
costosi errori nell’inserire i cavi. L’interfaccia 
di rete è una sola, nel senso che il connettore 
thick ethernet e il connettore RJ sono in alter¬ 
nativa - o si usa l’uno o l’altro. 

Seguono le prese tastiera e mouse, che per 
la prima volta in casa SGI sono unità stan¬ 
dard PS/2, e due porte seriali su connettore 
mini-DIN, come allora usava anche Apple. 
Infine un connettore SCSI per unità esterne 
e, sopra a questo, una porta parallela su con¬ 
nettore D a 25poli. All’estremità destra infine 
troviamo l’alimentatore con la sua presa per 
il cavo di rete. 

Serve altro? 

Eccome! 

Sempre nel campo hardware, la Indy ha 
ancora un paio di ciliegine da mettere sul ge¬ 
lato. 

La prima è la Indy Cam (Figura_g), che 
potrebbe essere considerata la prima Web¬ 
Cam della storia: una piccola videocamera, 
color grigio-granito come tutti gli 
accessori Indy, destinata al telecon- 
ferencing (...nel 1993, ricordiamolo) 
ma anche ampiamente usata per la 
produzione di piccoli (e ingombran¬ 
ti) video home-rnade. Va ricordato 
che la Indy Cam può essere collegata 
soltanto ad una Indy, ma il digita¬ 
lizzatore audio/video (di serie!) di 
quest’ultimo funziona perfettamente 
anche con gli altri ingressi, CVBS o 
S-Video, a cui può essere collega¬ 
to qualunque sorgente video. Uni¬ 


co problema, produce files non compressi e 
quindi relativamente ingombranti, che erano 
una costante dannazione degli amministra¬ 
tori nei centri di calcolo. Se proprio si vole¬ 
va andare sul pesante erano disponibili due 
diverse schede opzionali, da montare in pig- 
gyback sulla scheda video, per la compres¬ 
sione video in tempo reale. 

La Indy naturalmente poteva montare an¬ 
che tutta una gamma di accessori generici, 
come il mouse tridimensionale Spaceball (Fi¬ 
guralo), array di pulsanti e di manopole, 
tavolette grafiche ecc. 

Infine il sacro Graal dei possessori di Indy, 
che purtroppo non siamo in grado di mo¬ 
strarvi, è la scheda Ultra-64. Questa, che 
andava montata anch’essa sopra la scheda 
video, è la parte hardware del sistema di svi¬ 
luppo per Nintendo 64. 

E’ naturale che i videogiochi per piccole 
consolle venissero sviluppati su altri sistemi 
più potenti e più veloci; la stessa cosa accade 
anche adesso. Dove è nato SuperMario 64? 
Adesso lo sapete! 



Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 


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Altri rarissimi accessori (anche se non fan¬ 
no parte dell’hardware in senso stretto) sono 
la borsa originale per il d'asporto della Indi / 
(mentre ricordiamo che non è mai esistito un 
portatile Silicon Graphics; se ne intravede 
uno fasullo nel film Twister) e una inverosi¬ 
mile valigetta 24 ore a forma di Indi), da cui 
si distingue solo per la presenza del manico, 
prodotta -pare- in soli 50 esemplari usando 
gli stampi originali. 


Il software 

E’ ovviamente h'ix, versione Silicon 
Graphics di Unix, che come la maggior parte 
dei sistemi Unix ha prestazioni elevatissime 
e non si pianta mai. Ne sono esistite nume¬ 
rose versioni, alcune molto diffuse ed alcune 
limaste allo stadio di sigla; l’esemplare in 
oggetto monta una versione 6.2, ma la Indi) è 
in grado di montare fino alla maggior parte 
delle versioni 6.5. 





































Prov.a , Hardware. 


L’analisi dei sistemi che hanno fatto l’informatica 




Monkty IsIam/?: 


Toniche»! 


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System Help 


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All’accensione la Indi) 
emette un hip, seguito 
da un breve stacchetto 
musicale (una carat¬ 
teristica di molte mac¬ 
chine Silicon Graphics, 
ognuna con un motivet- 
to diverso) e dalla com¬ 
parsa della schermata 
di welcome. Quando la 
macchina ha completa¬ 
to la diagnostica la spia 
di accensione da T'ossa 
diventa verde e la Indy 
offre, per qualche secon¬ 
do, la possibilità di inter¬ 
romperla per richiedere 
una diagnostica più approfondita (una cosa 
veramente lunga) o effettuare operazioni di 
sistema, come un upgrade del sistema ope¬ 
rativo. Dopodiché carica Irix e presenta la 
schermata di login. 

L’estetica della GUI Motif (Figura_n_i2) è 
sobria e persino austera in confronto alle at¬ 
tuali vei'sioni Windows e Linux, ma in queste 
macchine ogni dettaglio, dai font ai colori, 
era attentamente studiato per massimizzare 
la produttività e per non 
stancare l’utente duran¬ 
te lunghe ore davanti al 
monitor, non certo per 
impressionare gli ami¬ 
ci. La Indy in esame è 
una R4400SC-200MHZ 
con una scheda grafica 
XL24, ossia una confi¬ 
gurazione medio-alta 
per una Indy, ma non 
certo paragonabile ad 
una macchina attuale. 

Eppure la responsività 
della GUI è molto mag¬ 
giore: al tocco del mouse 
le finestre si aprono subi¬ 
to, i programmi partono 


immediatamente, il feedback è istantaneo. Ci 
si dimentica presto della clessidra che ci fa 
compagnia nel nostro solito PC, e soprattutto 
non si deve riavviare mai. In senso letterale: 
la Silicon Graphics raccomandava di lascia¬ 
li sempre accese le sue macchine, e del resto 
l’unico motivo per spegnerle era un guasto 
hardware. 

Sotto la GUI c’è, come abbiamo detto, Unix, 
con tutto quel che comporta ma anche con 
alcune estensioni. Una esclusività h'ix è un 


b«Dl*z« DIMM 
SFF'W SCW«SS« Gib 
Zfiui drùcc* 


Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 


15 


































































































comodo Toolchest, in alto a sinistra, con i 
principali comandi di sistema, tra cui una se¬ 
rie di approfonditi Confidence tests per tutte 
le periferiche presenti e un Icon catalog che 
raccoglie, ordinatamente per tabs, decine e 
decine di applicazioni. Possiamo ricordare 
anche alcuni utili comandi aggiuntivi da ter¬ 
minale, come hinv per l’inventario hardware 
o chkconfig per avviar e/fermar e individual¬ 
mente i daemons. Vale per la Indy tutto quel¬ 
lo che nel numero 27 è stato detto sul softwa¬ 
re della Indigo, a cui vi rimando. 

A livello applicativo devo ricordare resi¬ 
stenza, sempre di serie, di moltissimo sof¬ 
tware inultimediale, convertitori di files, 
generatori musicali, di visualizzatori 3D ecc. 


(Figura_i3); ma anche di software di rete 
e di teleconferencing, quando questa paro¬ 
la non esisteva neppure. Successivamente 
è stato reso disponibile anche un emulatore 
Windows 95, di utilità pratica forse limitata 
ma comunque impressionante (anche perché 
invece un emulatore Indy sotto Windows 95 
non l’ho mai visto). 

Sul fronte software bisogna tener conto, da 
un lato, della disponibilità di software ap¬ 
plicativo di altissimo livello (un esempio per 
tutti è Wavefront, che nel 1995 verrà acqui¬ 
stato direttamente dalla SGI e da cui nel 1998 
nascerà Maya); dall’altro della disponibilità, 
tipica del mondo Unix, di software gratuito. 
La velocità della macchina, la qualità del sof- 



Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 



































Pro v.a, Hardware. 


L’analisi dei sistemi che hanno fatto l'informatica 


turare, la facilità di interfacciamento hanno 
infatti determinato, alla sua epoca, lo svi¬ 
luppo di una attivissima comunità di utenti 
Silicon Graphics e di un clima culturale mol¬ 
to dinamico e collaborativo, con un attivo 
scambio di idee e di software che, seppur 
in chiave minore, continua ancora oggi. La 
stessa Silicon Graphics incoraggiava questo 
atteggiamento mediante un contest chiama¬ 
to IndyZone articolato in cinque settori: solo 
player games, team games, single user to- 
ols, multiple user tools, e best Indy software. 
Ogni categoria prevedeva una macchina SGI 
in premio al vincitore e la diffusione del sof¬ 
tware mediante i CD IndyZone (pare ne sia¬ 
no usciti cinque). Altri CD, contenenti demos 
di programmi commerciali, Utilities e free- 
ware, venivano diffusi dalla Silicon Graphics 
tra la community degli utenti con il nome di 
Hot Mix. Tutti questi sono ancora attivamen¬ 
te ricercati. 

Naturalmente sarebbe inutile cercare As- 
sassin Creed tra il software home-made di 
vent’annifa, ma il livello è comunque decisa¬ 
mente brillante. Un esempio è visibile nell’ul¬ 
tima immagine (Figura_i4), che raffigura il 
vincitore di IndyZone 1994 nella categoria 


best solo player game: Blix, una specie di 
PacMan mappato su una sfera, dove oltre a 
guidare Vavatar dovete, man mano che 
questo si muove, girare anche la sfera in 
modo da non perderlo di vista. 

Sembra semplice, vero? Provate a giocar¬ 
ci... 

(=) 


'-■•.•Vvì * ». '• 


r /v t> y 


SìUconGraphics 


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17 



Lo sviluppo del linguaggio C 


SECOND EDITOM 


THE 



PROGRAMMINO 

LANGUAGE 


BRIAN WKERNIGHAN 
DENNIS M RTTCH1E 


di Salvatore Macomer 


Introduzione. 

/ I linguaggio C è diffuso coinè forse 
nessun altro linguaggio di program¬ 
mazione. Gli elementi principali del¬ 
la sua nascita sono noti: progettato presso 
i Bell’s Laboratories da B. W. Kernighan e 
Dennis M. Ritchie come evoluzione del lin¬ 
guaggio B, a sua volta derivato dal BCPL, 
per lo sviluppo del sistema operativo Unix, 
si impose ben presto sia per le sue caratteri¬ 
stiche che per la sua portabilità. 

Questo articolo rivisita i passi essenzia¬ 
li della sua nascita e soprattutto della sua 
evoluzione ed è basato in particolare su un 
articolo sciitto da Ritchie in persona nel 
2003 per la Lucent Technology, che nel frat¬ 
tempo ha rilevato i Bell’s Laboratories. 


Uno sguardo di insieme. 

Il C nasce negli anni 1969-1970 in paral¬ 
lelo all’evoluzione del sistema operativo 
Unix. Il suo riconoscimento ufficiale si ebbe 
nel 1977 e nel 1979 quando la portabilità di 
Unix fu definitivamente dimostrata. Final¬ 
mente alla metà degli anni ’8o il linguaggio 
venne standardizzato dal comitato ANSI 
X3J11, quando ormai esistevano compila¬ 
tori C per quasi tutte le piattaforme, home 
computer compresi. 

Nel 2005 è stato eletto al vertice della clas¬ 
sifica dei linguaggi di programmazione più 
diffusi al mondo, scettro che probabilmente 
detiene ancora, mentre di fatto tutti o qua¬ 
si i linguaggi “moderni”, si basano sulle sue 
idee, pur evolvendo l’ambiente di produzio¬ 
ne del software verso una concezione più 
consona alle idee della programmazione ad 


Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 









Niente nasce dal nulla, tutto si evolve 


oggetti. 

Il testo “principe” che ne descrive le carat¬ 
teristiche è il famoso “libro bianco” scritto 
dai due autori del linguaggio e che ha come 
titolo “The C Programming Language”. 
Viene chiamato “libro bianco” perché nella 
prima edizione, cosa rimasta divariata nel¬ 
le successive, la copertina è semplicemente 
bianca con una grande C azzurra che spicca 
nel titolo. 

Premesse storiche. 

Alla fine degli anni ’6o i Bell Telephon 
Laboratories decisero di uscire dalla join 
venture che vedeva come altri attori il MIT 
e la General Electric. Il consorzio aveva 
come obiettivo la realizzazione di un si¬ 
stema operativo multitasking denomina¬ 
to Multics, progettato per il mainframe di 
General Electric GE 645. La realizzazione 
si stava però rivelando irta di ostacoli e la 
prospettiva di un rilascio definitivo si allon¬ 
tanava sempre di più, oltre che presentarsi 
sempre più costosa. I vertici dei Bell Labs 
decisero di esplorare un’altra possibilità e 
così venne incarica¬ 
to Ken Thomson di 
lavorare sullo stesso 
sistema per vedere 
se era possibile una 
sti'ada alternativa 
più semplice e ov¬ 
viamente meno co¬ 
stosa da utilizzare 
su hardware diverso 
(il PDP in particola¬ 
re). Thomson inserì 
nel nuovo progetto 
le idee migliori che 
erano state pensa¬ 


te per Multics: il file System ad albero, la 
struttura di descrizione dei task, l’accesso 
generalizzato ai device e la presenza di un 
ambiente di comando a livello user (la shell) 
potenzialmente inter operabile. Vennero ab¬ 
bandonate altre caratteristiche di Multics 
la cui realizzazione era complicata, come 
ad esempio l’accesso alla memoria e ai file 
con le medesime funzionalità. Inoltre venne 
scaldata la possibilità di scrivere parte del 
codice con il PL/I scegliendo altri linguaggi 
come il BCPL e l’assembler. Si perse però la 
possibilità di disporre di un sorgente sti'ut- 
turato e leggibile, cosa che PL/Ipermetteva 
e questo ha influenzato nel primo periodo la 
questione della portabilità del sistema ope¬ 
rativo in altre piattaforme, questione che 
venne deciso di accantonare e riprendere 
successivamente. 

Il DEC PDP-7 nel 1968 era una macchina 
con architettura a 18 bit con 8K di memo¬ 
ria e nessun programma ad alto livello. La 
programmazione di Unix su questo sistema 
doveva avvalersi dell’uso di un cross-as¬ 
sembler chiamato GEMAP sul GE-635 che 
generava un nastro di carta eseguibile poi 
su un PDP-7. Questo metodo venne usato 






Ken Thomp¬ 
son (a sinis¬ 
tra) e Dennis 
Ritchie (a 
destra). 
[Immagine 
da Wikipe- 
iia] 


Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 


19 





da Thompson per creare il primi nucleo del 
sistema e una shell minimale con pochi co¬ 
mandi come cp, rm cat, etc... Messa a punto 
questa parte lo sviluppo potè continuare in 
autonomia sullo stesso PDP-7 senza coin¬ 
volgere la macchina della General Electric. 

I predecessori. 

Thompson cominciò sviluppando un ma¬ 
cro-assembler per il PDP-7, minimale e sen¬ 
za alcuna possibilità di utilizzare librerie, 
linker, loader, etc... Il file eseguibile, frutto 
della compilazione aveva un nome fisso: 
“a.out” e questo spiega perché a tutt’oggi si 
sia conservata questa convenzione sul nome 
dell’output per i compilatori Unix. 

Nel 1969 un certo Doug Mcllroy aveva 
scritto un linguaggio ad alto livello per 
Multics, il linguaggio TransMoGrifiers 
(TMG), specificatamente adatto a scrivere 
compilatori. Con esso si era sviluppato il 
PL/I che girava sul GE 645. Da qui Thom¬ 
pson maturò l’idea che era necessaria una 
cosa analoga anche per il PDP-7. Provò a 
implementare una versione del FORTRAN, 
che abbandonò quasi subito, per dedicarsi 
al linguaggio che chiamò semplicemente B. 
Il B è semplicemente mia versione del BCPL 
“strizzata” per falla digerire ai soli 8K di 
memoria della macchina Digital. Rispetto 
al successore (il C), manca della tipizza¬ 
zione. La scelta del nome “B” non è certa: 
alcuni affermano che sia una contrazione 
di BCPL, alti! dicono derivi dal nome BON, 
un’altro linguaggio scritto da Thompson 
per il GE, a sua volta probabilmente deriva¬ 
to dal nome della moglie di Thompson che si 
chiamava Bonnie; altri ancora non hanno 
dubbi nell’affermare che BON sia una sorta 


di formula magica della tradizione mormo¬ 
ne, comunità alla quale Thompson appar¬ 
teneva. 

Tutti questi linguaggi, compreso il loro 
successore C, appartengono alla classe dei 
linguaggi cosi detti “procedurali”, i cui ca- 
postipiti sono FORTRAN e ALGOL 60, ma 
rispetto a questi ultimi sono molto più “ma¬ 
chine oriented”, cioè si avvicinano di più 
alla struttura hardware dei moderni siste¬ 
mi e sono abbastanza semplici da permet¬ 
terne la portabilità su architetture diverse 
con relativo poco sforzo. 

Pur differendo abbastanza significativa¬ 
mente nelle sintassi, la loro macro struttura 
è comune: una parte dichiarativa è seguita 
daU’implementazione di funzioni (o proce¬ 
dure). Il BCPL permette la dichiarazione 
ricorsiva delle procedure (una procedura 
può contenerne altre), particolarità che è 
stata rimossa nel B e C rendendo il compi¬ 
latore più semplice. L’aspetto della sintassi 
è infondo minimale: le vere innovazioni ri¬ 
guardano le strutture dati interne ad ogni 
singolo linguaggio. 

Da notare che a volte certe sintassi vengo¬ 
no abbandonate ma si ripresentano dopo 
una o due generazioni. Ad esempio il BCPL 
accetta il commento a fine linea con i carat¬ 
teri //, il B vuole l’inclusione dei commenti 
nelle coppie /* ... */, mentre la coppia // è 
stata reintrodotta con il C++... 

BCPL e B non hanno il concetto di tipo di 
dato: ragionano con un unico tipo che viene 
chiamato “cella” ed è rappresentata da una 
sequenza fissa di bit. Sommare due variabi¬ 
li significa sommare il contenuto delle due 
celle, Ogni cella può rappresentare l’indiriz¬ 
zo di un’altr'a cella e il BCPL usa la notazio¬ 
ne !p per indicare il valore della cella pun¬ 
tata dap, mentre il B introduce la notazione 


20 


Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 



Niente nasce dal nulla, tutto si evolve 


*p, che poi sarà la stessa adottata dal C. 

Per l’accesso agli elementi di un array V, il 
BCPL usa Vii, mentre il B la più famigliare 
(almeno per noi) V[i]. 

Anche nella gestione delle stringhe il BCPL 
e il B differiscono: nel BCPL il primo carat¬ 
tere deve contenere la lunghezza della strin¬ 
ga (da notare che questa convenzione sat'à 
usata anche dal Pascal), mentre il B e i suoi 
derivati non prevedono nulla di simile: deve 
essere il contesto che stabilisce la tipologia 
di dato. 

Durante la scrittura del B, Thompson era 
assillato dalla limitazione di memoria e fece 
di tutto per rendere il linguaggio più com¬ 
patto possibile. Ad esempio a lui di deve 
la reintroduzione, che prese dall’Algol 68, 
dell’operatore di assegnazione con incre¬ 
mento += e l’invenzione nuova dell’opera¬ 
tore di auto-incremento ++ e di auto-decre¬ 
mento —, compresa l’idea che la posizione 
di questo operatore prima o dopo il nome 
della variabile dovesse corrispondere alla 
sequenza temporale dell’operazione stes¬ 
sa (incremento prima o dopo l’assegna¬ 
zione). Alcune fonti dichiarano che l’idea 
degli operatori di auto-incremento derivi 
dal fatto che il PDP-11 aveva una funzione 
nativa per queste operazioni e che Thom¬ 
pson semplicemente le abbia tradotte 
nel suo B. Questo è impossibile: quando 
Thompson scrisse il linguaggio B, il PDP- 
11 non era ancora in commercio! E’ invece 
probabile che Thompson si sia ispirato ad 
una analoga funzionalità (ma non esatta¬ 
mente un auto-incremento), presente nel 
PDP-7. 

Il linguaggio B è pensato non per ge¬ 
nerare codice macchina direttamente 
eseguibile, ma quello che viene chiamato 


“threaded code” che sarebbe una sequenza 
di indirizzi di routine (rum-time) che punta¬ 
no ad istruzioni elementari eseguiti da una 
B-Machine che in pratica è una macchina 
a stack. Thomson continuò nel suo lavoro 
di sviluppo del B ma il PDP-7 cui dispone¬ 
va era una macchina troppo limitata e gli 
8K celle di memoria riuscivano a malapena 
a contenere l’interprete. Il risultato fu che 
programmi scritti in B furono pochissimi, 
se non il B stesso e l’idea di scrivere parte 
del sistema operativo UNIX con questo lin¬ 
guaggio si rivelò una strada non percorri¬ 
bile. Stessa sorte per le altre idee di svilup¬ 
po di compilatori per i maggiori linguaggi 
dell’epoca: FORTRAN, PL/IeAlgol 68. Una 
delle prime routine messe a punto fu il pro¬ 
gramma “de”, che è un calcolatore a preci¬ 
sione variabile che fa parte ormai della do¬ 
tazione standard di Unix e dei suoi derivati. 

La situazione si sbloccò nel 1979 quando ai 



Fig. 2 - 




Brian Kern- 
ingham 
[Immagine 
da Old-com- 
puters.com] 


v_y 


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21 









£ " 
Fig- 3 - 

Dennis M. 
Ritchie. 
[Immagine da 
Old-comput- 
ers.com ] 


V_ 



Bell Lab arrivò il primo PDP-11 della Digi¬ 
tal. Per quanto non fosse ancora dotato di 
memoria di massa, il nuovo sistema dispo¬ 
neva di 24K di memoria e fu ragionevol¬ 
mente facile per il team di Thomson, fare 
un porting del codice B e sviluppare a par¬ 
tire da esso le prime routine di utilità per 
lo Unix. Nel 1971 Steve Johnson scrisse la 
prima versione del suo YACC (Yet Another 
Compiler Compiler) usando l’assembler del 
PDP-11 e molte routine nel frattempo svi¬ 
luppate in codice B. 


I problemi del linguaggio B. 

II PDP-11 introduceva una variazione im- 
portante nell’architettura: la macchina era 
byte-oriented rispetto alla precedente che 
era word-oriented. Ne seguiva una perdi¬ 
ta di ottimizzazione volendo trasportare il 
codice B senza interventi significativi sulla 
struttura del run-time, senza contare che 
queste modifiche annullavano per buona 
parte tutto il lavoro di ottimizzazione in 
termini di occupazione di memoria portate 
avanti da Thompson. 

Il secondo problema era che l’architettura 
PDP non prevedeva il supporto nativo per 
l’aritmetica floating-point. Se per il GE sot¬ 
to BCPL e il PDP-7 sotto B era stato possibile 
intervenire con una simulazione ad-hoc, la 
cosa era molto meno performante se adat¬ 
tata ad una macchina byte-oriented. Infatti 
il vantaggio dell’architettura word-orien- 
ted era quello di poter “accomodare” una 
variabile in virgola mobile in una word, 
cosa impossibile in un byte! Coinvolgere più 
byte nella definizione di una variabile FP è 
possibile ovviamente, ma le prestazioni di 
calcolo scendono. L’ultimo problema era 
per il B una progettazione della gestione 
dei pointer che non poteva trasferirsi paro- 
paro sull’architettura del PDP-11. 


Nasce il linguaggio C. 


Considerati i problemi descritti, nel 1971 
Ritchie cominciò a riscrivere il B introdu¬ 
cendo la gestione a caratteri delle strin¬ 
ghe e la modifica delle altT'e strutture dati 
per permettere la realizzazione di un vero 
compilatore che generasse dal sorgente di- 
rettamente codice macchina per il PDP-11 e 
anche per il GE465. Questa nuova versione 


22 


Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 






Niente nasce dal nulla, tutto si evolve 


del B venne chiamata NB (che starebbe pei' 
New B). Questo NewB durò pochissimo ma 
fu un passaggio importante perché intro¬ 
dusse i tipi di dati int e char e gli array degli 
stessi secondo la sintassi mutuata dal BCPL 
e dal B: 

int i, j; 
char c, d; 
int iarrayfio]; 
int ipointer[]; 
char carray[io]; 
char cpointer[]; 

Inoltre nella dichiarazione degli array di 
puntatori la memoria non veniva allocata, 
altra innovazione concettuale che poi il C 
renderà sua con una modifica semantica di 
convertire a puntatore l’indirizzo del primo 
elemento di un array quando viene dichia¬ 
rato all’interno di una struttura dati. 

Ad esempio la struttura di una directory di 
Unix può essere rappresentata da un record 
del tipo: 

struct { 

int inumber; 

char name[i4]; 

}; 

Il compilatore trasformerà la dichiarazio¬ 
ne “char name[i4]” nel puntatore al primo 
carattere del nome tutte le volte che il nome 
dell’array viene incontrato nel codice. 

Questa idea, messa alla prova con la ri¬ 
scrittura di codice sviluppato in B, si rivelò 
promettente, incoraggiando lo sviluppo del 
nuovo linguaggio, evoluzione dei due pre¬ 
cedenti, che venne chiamato C, come logica 
conseguenza del suo predecessore principa¬ 
le. 

Nel 1973 la definizione del C era completa 


e si decise di dedicare l’estate di quell’anno 
alla riscrittura del kernel dello UNIX. Lo 
stesso esperimento lo aveva tentato Thom¬ 
pson l’anno prima ma mancava ancora la 
definizione delle strutture nel nuovo lin¬ 
guaggio e la sfida era ti'oppo ardua. 

Intanto ai Bell Lab erano arrivati nuovi 
calcolatori: un Honeywell 635 e un IBM 
360/370 sui quali si decise di realizzare la 
portabilità del sistema operativo con com¬ 
pleto successo. Un alti'o sistema, leggermen¬ 
te più ostico per via della sua architettura, 
fu l’Interdata 8/32. Il progetto fu portato a 
termine ma servì anche per inserire alcune 
minime ma essenziali modifiche alla defini¬ 
zione del linguaggio. 

La sti'ada era tracciata! Dal 1973 al 1980 
il linguaggio subì dei piccoli ritocchi nella 
definizione dei tipi e delle strutture che di¬ 
vennero molto simili a quelle che oggi chia¬ 
miamo “classi”. In particolare furono inti'o- 
dotti i tipi “unsigned” che resero possibile la 
definizione delle operazioni su numeri privi 
di segno distinguendo la loro aritmetica da 
quella dei puntatori. Nel 1978 Kerninghan 
scrisse la prima versione del famoso libro 
“bianco” e la documentazione delle routine 
di servizio al sistema operativo che fanno 
parte ora del famoso “man”, il manuale on- 
line di riferimento. 

Una sfida che dovette vincere il linguaggio 
fu anche quella di convincere i program¬ 
matori aU’utilizzo corretto degli statement 
che per la loro somiglianza con quelli del 
B e BCPL, tendevano a far scrivere codice 
“obsoleto” o comunque senza quelle carat¬ 
teristiche innovative che il C permetteva 
raggiungendo la pulizia del sorgente e l’ot¬ 
timizzazione del codice. 


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All’inizio degli anni ’8o il linguaggio C var¬ 
cò i confini accademici per rendersi disponi¬ 
bile sulle piattaforme home e personal e il 
suo uso si diffuse rapidamente. Nel 1983 si 
cominciò l’iter per la standardizzazione che 
arrivò con l’inclusione delle specifiche ANSI 
nel 1989 e ISO/IEC nel 1990. Il più signifi¬ 
cativo cambiamento apportato alla sintassi 
del linguaggio dal comitato X3Jnfu la spe¬ 
cifica di come doveva essere dichiarata una 
funzione esterna. Prima della standardiz¬ 
zazione la sintassi era ad esempio: 

doublé sin(); 

Melitre dopo divenne: 

doublé sin(double); 

Ciò rese più rigido il controllo degli argo¬ 


menti per la funzione. Vennero aggiunti an¬ 
che le specifiche “const” e “volatile”. 

I discendenti. 

Dopo la standardizzazione del linguaggio 
non fu più possibile chiamare “C” un fork 
dello stesso con aggiunte varie, per cui i 
tentativi meglio riusciti in questa direzio¬ 
ne dovettero dichiarare un nuovo nome e 
quindi formalmente un linguaggio diverso 
da quello cui si ispiravano. Ad esempio il 
Cuncurrent C, l’Objective C, lo StarC (*C) 
e ovviamente l’arcinoto C++, definito da 
Sti'ousti'up nel 1986, dal quale poi sono 
derivati ulteriori “figli”. Fra i discendenti 
non dimentichiamo soluzioni più esoteriche 
come Modula 3 (1991 ) e Eiffel (1988). 


Fig. 4 - 

Dennis M. 
Ritchie (in 
piedi) al 
lavoro con 
un program¬ 
matore sul 
PDP-11. 

V_ 







24 


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Niente nasce dal nulla, tutto si evolve 


Non sono mancate critiche alle idee e so¬ 
prattutto a come esse sono state messe in 
pratica nella definizione del linguaggio. La 
più evidente e giustificata è quella che at¬ 
tribuisce al C la colpa della scrittura di un 
codice non proprio “leggibile”, al punto che 
lo stesso compilatore abbisogna a volte di 
un “aiutino” per risolvere i casi dubbi. Ad 
esempio nella sequenza di statement: 

int *fp(); 
int (*pf)(); 

che può essere tradotta in: 

int*(*pfp)(); 

con perdita netta di leggibilità. 

Dopo le critiche il perché di tanto (e per 
buona parte insperato) successo? 

Sicuramente alla diffusione del linguag¬ 
gio ha contribuito la diffusione del sistema 
operativo Unix e derivati (Linux compreso). 
Questa caratteristica da sola non spiega 
tutto! Uri fattore sicuramente di successo è 
la sua relativa compattezza e facilità nello 
scrivere compilatori, dovuta alla vicinan¬ 
za dei suoi tipi di dato e funzionalità con le 
sti'utture dei calcolatori moderni (una CPU 
con registri e accesso diretto alla memoria). 

La sua stabilità nel tempo è un alti'o fat¬ 
tore. Il linguaggio è sufficientemente com¬ 
pleto da non richiedere estensioni se non 
proprietarie e limitate a certi computer. La 
sua definizione può rimanere quindi quella 
iniziale e questo contribuisce a dare l’idea 
della stabilità del linguaggio. Nel tempo si 
sono consolidate le librerie di supporto che 
sono state raffinate passo dopo passo e han¬ 
no raggiunto ora, anche nel calcolo scienti¬ 
fico, una efficienza difficilmente superabile 
anche da idiomi specializzati come il FOR¬ 
TRAN. 


Conclusione. 

La storia del C menziona una serie di nomi 
che hanno contiibuito a gettare le basi della 
sua definizione o ne hanno migliorato l’im- 
plementazione. Essi sono: 

Ken Thompson che nel 1969 ha creato il 
linguaggio B; 

Martin Richards che ha creato il BCPL; 

Dennis Ritchie che ha trasformato il B nel 
NB prima e nel C dopo (1973); 

Alan Snyder, Steve Johnson e Michael 
Lesk che nel periodo 1972-1977 hanno con¬ 
tribuito al miglioramento del linguaggio e 
lo hanno usato in progetti di notevole por¬ 
tata; 

Brian Kerninghan che ha scritto assieme a 
Ritchie la piima versione del “libro bianco”, 
vero standard del linguaggio; 

I componenti del comitato X3J11 che han¬ 
no reso definitiva la versione dello standard 
ancora oggi in uso: Jim Brodie, Tom Plum, 
P.J. Plauger, Larry Rosler e Dave Prosser. 

Reference 

Dennis M. Ritchie “The Development ofC 
Language” - Lucent Technologies 2003. 


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L ’indecidibilità 

(parte 2) 



di Salvatore Macomer 


a scorsa puntata abbiamo intro¬ 
dotto il concetto di indecidibilità 
dei sistemi formali come risultato 
del teorema di Godei, ed esteso il discorso ai 
sistemi che riguardano i linguaggi per cal¬ 
colatore dai quali si generano gli insiemi di 
tutti i programmi. 

Ci aspettiamo che l’insieme di tutti i pro¬ 
grammi scritti in un certo linguaggio, ma in 
generale qualsiasi linguaggio abbastanza 
generale va bene, contenga dei teoremi non 
dimostrabili. Abbiamo anche nella scorsa 
puntata indicata una via: il paradosso. 

La domanda allora è: -”E’ possibile scri¬ 
vere un programma paradossale?” Sembra 
improbabile ma invece è proprio così! 

Sgombriamo subito il campo dall’amletico 
dubbio del programmatore: i programmi 
che scrivi per calcolare il pi-greco piutto¬ 
sto che il bilancio aziendale, non sono pa¬ 
radossali, sempre ammettendo che siano 
formalmente e logicamente corretti. Essi 
sono quei programmi “buoni” cui l’insieme 
di tutti i programmi è pieno. Tuttavia una 
categoria di programmatori è, diciamo, “a 
rischio”e sono coloro che scrivono compila¬ 
tori. La scrittura di un compilatore per un 


certo linguaggio coinvolge, se ci pensate, 
un aspetto particolare: si tratta di scrivere 
un programma che interpreta un altro pro¬ 
gramma e ne produce un output (il codice 
oggetto compilato). Non ha importanza se 
il sorgente è, diciamo in BASIC e il compi¬ 
latore è scritto in C: abbiamo detto nella 
scorsa puntata che la sintassi non è impor¬ 
tante. Entrambi, cioè il codice sorgente e il 
programma del compilatore (e anche il co¬ 
dice oggetto e codice macchina lo sono) ap¬ 
partengono allo stesso insieme di oggetti: i 
programmi per computer. 

Uno dei problemi della Computer Science 
è il problema dell’arresto. Di cosa si tratta? 

E’ possibile stabilire se dato un input un 
certo programma si ferma dopo un numero 
finito di passi oppure non si ferma mai? 

Prendiamo ad esempio un classico ciclo 
far: 

FOR N:=i TO io 
PRINT N 

END 



26 


Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 











Teoria e applicazione delle macchine calcolatrici 


Va bene, questo si ferma. E’facile capirlo 
“al volo”. 

Quest’altì'o invece non lo fa: 

FOR N:=i TO io 
PRINT N 
N := 1 

END 

Sono due programmi deducibili dal punto 
di vista della proprietà di arrestarsi o meno. 

Se il codice risulta più complesso è neces¬ 
sario farsi aiutare dalla macchina stessa 
per avere la risposta. Perché non ci costru¬ 
iamo un esaminatore di arresto? Daremmo 
in input a questo programma il nostro co¬ 
dice e questo esaminatore ci stampa il re¬ 
sponso che potrebbe essere: “il programma 
si ferma dopo X passi”, oppure “Il program¬ 
ma non si ferma mai”. 

Questo nostro esaminatore dovrebbe esse¬ 
re universale, cioè funzionare per qualsiasi 
codice in input e per qualsiasi condizione di 
partenza. 

Prima di precipitarci a scrivere codice o 
semplicemente a cercare il come si poti'ebbe 
fare, ricordiamoci di Godei: un simile pro¬ 
gramma non si può scrivere. 

Panico... 

Come possiamo affermare una cosa del 
genere? 

Lo dimostreremo con una tecnica che vie¬ 
ne chiamata “diagonalizzazione”, che poi è 
la stessa tecnica che ha permesso a George 
Cantor di dimostrare che l’insieme dei nu¬ 
meri reali non è numerabile e quindi non 
esaurisce lo spazio dei numeri. 

La dimostrazione formale necessitereb¬ 
be di una serie di passaggi piuttosto noiosi 
perché implica la dimosti'azione dell’equi¬ 
valenza fra un programma in un linguag¬ 
gio qualsiasi e il corrispondente program¬ 
ma scritto però su una macchina a registri. 

Questa affermazione è nota in logica come 


“Tesi di Church” ed afferma che: 

“Fino a prova contraria si assume vera 
l’affermazione che una finzione computabi¬ 
le sia R-computabile” 

Il significato terra-terra è il seguente: 
“data una funzione per la quale sia possibi¬ 
le calcolare il valore (ad esempio la radice 
quadrata, il coseno, etc...), allora è possibile 
calcolare il valore usando un sistema auto¬ 
matico codificato come programma di una 
macchia a registri”. 

Dal momento che i programmi per com¬ 
puter sono delle funzioni, la cosa calza a 
pennello. Non dhnosti'eremo nulla di ciò: 
il nostro è un articolo divulgativo, qualche 
passaggio rigoroso si può saltare in favore 
di una più facile comprensione dell’aspetto 
generale. 

Abbiamo anche capito, e se non vi è chiaro 
lo ripetiamo qui definitivamente, che quan¬ 
do parliamo di “programma” non inten¬ 
diamo il mero codice sorgente scritto in un 
qualche linguaggio, ma piuttosto una cop¬ 
pia di oggetti: P = (C, VJ, cioè il codice vero 
e proprio e l’input del programma V o . 

Tutte le possibili combinazioni di queste 
coppie, cioè qualsiasi programma (ovvia¬ 
mente sintatticamente corretto), corredato 
da uno dei suoi input, sono elementi di un 
insieme che chiameremo D. 

Quando diciamo che vogliamo dimostra¬ 
re l’indecibilità di D, significa che vogliamo 
Covare almeno un suo elemento per il quale 
non sia possibile affermare o confutare la 
computabilità, cioè la determinazione di 
una sua proprietà, ad esempio sapere se si 
ferma oppure no. 

All’interno dell’insieme D esistono dei sot¬ 
to-insiemi, che sono i modi con le quali pos¬ 
siamo raggruppare certi elementi in base a 
particolari caratteristiche. 


Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 



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Un sotto-insieme di D è ad esempio l’insie¬ 
me dei programmi che si fermano: chiame¬ 
remo D-HALT questo sotto-insieme. 

Analogamente esisterà un’altro sotto¬ 
insieme, disgiunto dal precedente: D-NO- 
HALT e sarà composto da quei programmi 
che non si fermano. 

Se dimostriamo che un elemento di D- 
HALT o di D-NOHALT è indecidibile, allora 
abbiamo dimostrato Vindecidibilità dell’in¬ 
tero insieme D. 

Questa è una tecnica comune in matemati¬ 
ca: si cerca di restringere il campo d’azione 
e di confutare una certa affermazione su di 
esso per deduri'e che l’intero insieme globa¬ 
le è viziato dalla stessa tara. 

Nella riduzione a macchina a registri la 
coppia P=(C, VJ diventa una sequenza or¬ 
dinata di istruzioni che fanno evolvere lo 
stato della macchina stessa. Lo “stato” di 
una macchina a registi'i è l’insieme dei va¬ 
lori di tutti i suoi registri in quel particolare 
punto dell’elaborazione. 


P avrà una rappresentazione, si chiama in 
gergo “gòdeliano” del programma P con in¬ 
put V Q , del tipo: 


o - A , S 
i - A°, S 


o 


2 - A , S 
2 * 2 

n - A , S 

ir n 


intendendo con questa notazione che ad 
ogni passo “i” del programma verrà ese¬ 
guita l’istruzione A. e conseguentemente lo 
stato della macchina diverrà S r 
Ovviamente qualsiasi programma che stia 
in D-HALT si ferma per definizione, quindi 
avrà un gòdeliano di questo genere: 


L’ultima istruzione non può essere che 
quella di stop dell’esecuzione. Anche l’ipo¬ 
tetico programma in grado di dirci se un 
altro programma qualsiasi si fermerà dopo 
un certo numero di passi, si deve per forza 
fermare. 

Vi ricordo che stiamo ipotizzando che que¬ 
sto programma esista e andremo a dimo¬ 
strare che non può esistere. 

Questo ipotetico P (I prenderà come input 
il programma P con il suo stato S e dopo k 
step si fermerà fornendo la sua risposta in 
uno dei registri della macchina, diciamo R o 
che conterrà il valore nullo se il program¬ 
ma si felina, altrimenti R o avrà un valore 
diverso da nullo e significa che il program¬ 
ma P in esame non si ferma mai (è una con¬ 
venzione ovviamente). 

Il gòdeliano del nostro P o sarà: 

P(P): 
o - A , S 

. O o 

1 - A , S 

1 1 

2 - A , S 

2 J 2 

k-i - A(k-i), S (R ) 
k - HALT 

Allo step k-i il registro R o ci dice qual è il 
risultato del calcolo in base, come abbiamo 
stabilito, al valore del registro R o . 

Abbiamo quindi la nostra “macchinetta 
universale”. 

Bene, partendo da questo costruiamo un 
altro programma P* così fatto: 

P*(P 0 (P)) : 

°-A,S 0 

ì - A , S 

2 - A 1 , S 1 
2 2 

k-i - A(k-i), S, (R) 
k - IF R = nuli THEN k else k+1 
k + ì - ÈALT 


o - A , S 

A 0 C° 

ì - A , S 
2 - A’, S* 


n - HALT, S 


Sono esattamente le stesse istruzioni del 
programma P Q fino allo step k-i, poi lo step 
k è stato cambiato e si è aggiunto lo step k 


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Teoria e applicazione delle macchine calcolatrici 


+1. 

P* non appartiene necessariamente a D- 
HALT, vi apparterrà solo se il programma 
che va ad esaminare è in D-HALT. 

Quindi diciamo che P* si ferma se il suo 
input è un programma in D-HALT e non si 
ferma per niente se il programma è fuori da 
questo sotto-insieme. 

Tutti d’accordo? 

Bene, adesso applichiamo P* al program¬ 
ma P o , che sappiamo essere in D-HALT: 

Arrivati allo step k-i avremo R o = nuli e 
quindi dovremmo dedurre che P o si ferma, 
ma il passo successivo manda P* in loop e 
pertanto P * non si ferma mai per P Q . 

Siamo arrivati alla contraddizione diago¬ 
nale: “abbiamo costi'uito un programma P o 
che appartiene a D-HALT ma non è possi¬ 
bile dimosti'arlo”. 

L’insieme D è indecidibile. 



Attenzione: abbiamo volutamente sempli¬ 
ficato la dimostrazione lasciandola su un 
piano più inflativo che rigoroso; non me ne 
vogliano i logici matematici “accademici”. 

L’obiezione più immediata potrebbe essere 
fatta al nostro ragionamento affermando 
che le istruzioni A Q , A i e così via del pro¬ 
gramma P o , potrebbero essere diverse dalle 
corrispondenti di P*. In realtà il processo di 
gòdelizzazione assicura che sono le stesse. 


Mi auguro che qualcuno, magari non pre¬ 
tendo in tantissimi, sia riuscito a seguirmi 
in questo ragionamento che è difficile, me 
ne rendo conto, ma che è una delle basi della 
moderna scienza informatica. 

Concludo con una citazione che un profes¬ 
sore di informatica era uso declinare ai sui 
studenti: 

“Fatti non foste solo per scrivere 
codice, ma per tradurre la vostra 
intelligenza nel linguaggio della 
macchina”. 


(=) 


Una foto di Kurt Godei verso la fine della 
sua vita (morì suicida nel 1978 all’età di yi 
anni). E’ considerato il più grande logico 
moderno e secondo solo ad Aristotele. 


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Automatik (27) 

Nosferatu 



Di Lorenzo Paolini 


Dove vi faccio conoscere Patrizio, da noi 
soprannominato Nosferatn il vampiro. 

unque accadde che Romano, il ti¬ 
tolare della Automatik Noleggio 
Giochi, decidesse di affiancare a 
Daniele, lo storico operaio tuttofare della 
ditta, un ragazzo che potesse presto impara¬ 
re e quindi raddoppiare le capacità logisti¬ 
che dell’azienda. 

In pratica i lavori da fare erano semplici e 
ripetitivi: si trattava di scorrazzare in lun¬ 
go e largo nel territorio di competenza del¬ 
la ditta (un raggio più o meno di cinquanta 
chilometri), per sostituire i giochi nei bar, 
ritirare gli incassi e fare al limite delle ri¬ 
parazioni o delle manutenzioni ordinarie. 
Quali erano queste “manutenzioni ordina¬ 
rie”? Più che altro pulire il vetro che copri¬ 
va lo schermo, che con il tempo si offuscava 
per il deposito interno di polvere elettrizzata 
dallo schermo CRT, cambiare i gommini ai 
flipper, contT'ollare che le gettoniere funzio¬ 
nassero bene, etc... Come si vede niente che 


non si potesse imparare nel giro di tre mesi 
o poco più. 

Con questa idea Romano assunse, Dio solo 
sa perché, un certo Patrizio: un ragazzo più 
o meno di vent’anni, alto e dinoccolato con 
aria abbastanza assente e taciturno per na¬ 
tura. La carnagione chiarissima di questo ti¬ 
zio, i suoi capelli neri portati lisci e lunghi fin 
quasi alle spalle, unita alla sua indole solita¬ 
ria e ad un modo di vestire che si potrebbe 
definire “emo”, ma all’epoca non c’era questo 
movimento dark, gli guadagnò il sopranno¬ 
me di “Nosferatu, il vampiro” (per gli amici 
“il vamp”). 

Io e Daniele eravamo spietati in questo 
senso e quando arrivò in ditta Patrizio e 
fu ben presto chiaro che non se ne sarebbe 
cavato nulla di eccezionale, le celie sul suo 
soprannome e sulla sua indole non si conta¬ 
rono più! 

Peraltro lui non dimostrò mai di aversene 
a male anche quando talvolta ci si spazien¬ 
tiva della sua indolenza e lo si incitava deci¬ 
samente. 



30 


Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 












i computer nella letteratura 


Pattizio cominciò seguendo Daniele nei 
suoi giri giornalieri. Il piano era di renderlo 
autonomo per le cose più semplici il più pre¬ 
sto possibile, poi avrebbe dovuto imparare 
qualche facile riparazione dal sottoscritto e 
così via. 

Bene, non si uscì mai dalla fase 1. 

Il perché non ce lo spiegammo all’epoca, 
cioè Daniele e il sottoscritto, perché Roma¬ 
no, che doveva sapente qualcosa di più, ta¬ 
gliava corto ad ogni accenno da parte no¬ 
stra. Cosa diavolo ci fosse fra i due nessuno 
lo seppe mai. Sospettammo che fosse figlio 
di un amico di famiglia tna i tentativi che 
portò avanti Daniele per farlo sbottonare 
e saperne qualche cosa della sua vita, noti 
sortirono alcun effetto. Il sottoscritto poi 
non era appunto considerato da Nosfera- 
tu, proprio come non esistessi. Arrivava la 
mattina in laboratorio, rispondeva al saluto 
solo se qualcuno lo salutava per primo e poi 
si metteva con calma a proseguire con quello 
che stava facendo la sera prima, cioè pulire 
un gioco o il vetro di un flipper o sostituire i 
gommini ofar girare fino allo sfinimento il 
programma di diagnostica dei flipper Bal- 
ly. Questa era proprio una cosa insoffribile 
perché il nostro amico non si lùnitava a far¬ 
lo eseguire una/due volte ma lo rilanciava 
all’infinito anche quando era tutto a posto e 
bisognava che qualcuno ci andasse a forza 
a interromperlo quel maledettoprogramina 
che faceva saltare le bobine in sequenza con 
un fracasso alla lunga insopportabile! 

La conversazione del “vamp” era limita¬ 
ta a pochissime fi'asi di servizio, quasi mai 
iniziava una conversazione e men che meno 
partecipava. Uno di quei tipi che quando 
ci sono pesano sull’ambiente come dei ma¬ 
cigni: non sai cosa pensano, non sai cosa a 
loro interessi, non sai se fai bene a parlare 
con loro... insomma una sofferenza relazio¬ 
nale vera e propria. 

Da un certo punto di vista io stavo meglio 
di Daniele che se lo doveva sopportare tut¬ 
to santo il giorno. Se ne lamentò più volte 
con il titolare e una mattina, evidentemente 
aveva superato il limite della sua pazienza, 
saltò sul furgone e lo lasciò lì in mezzo al 


piazzale come una statua. Peraltro Patrizio 
non diede segno di esserne rimasto colpito; 
probabilmente pensava che Daniele si fosse 
dimenticato di lui o che avesse avuto qual¬ 
che cosa di urgente da fare e che sarebbe 
ritornato presto. Romano si arrabbio con 
Daniele e lo riprese ma ebbe come ritorno 
una reazione che non si aspettava da quel 
suo mite collaboratore e quindi, come spesso 
gli capitava quando non aveva argomenti 
da contrapporre in una disputa, girò i tac¬ 
chi e se ne andò senza ripresentarsi per tutto 
il giorno. 

Parlandone anni dopo con una ragazza 
che avevo conosciuto, mi spiegò che secondo 
i suoi studi di psicologia, Patrizio era auti¬ 
stico, un disordine mentale che è molto più 
diffuso di quanto si pensi e che da non pochi 
armi era stato inquadrato con precisione, ri¬ 
sultando fino ad allora catalogato in manie¬ 
ra generica come un ritardo mentale. 

Penso che questa dottoressa (o futura tale) 
avesse proprio ragione: stetti più attento a 
certi segnali nel prossimo e, veri o presunti, 
ne individuai un sacco di persone con pro¬ 
blemi simili! 

Mi pento un po’ di aver considerato Patri¬ 
zio un “demente” quando lavorava alla Au¬ 
tomatiìk. Certamente con migliore conoscen¬ 
za e una adeguata informazione avremmo 
potuto aiutarlo e certo anche lui ci avrebbe 
insegnato qualcosa. Invece andò in tutt’al- 
ti'o modo e dopo qualche tempo Patrizio non 
si presentò più, peraltro senza aver saluta¬ 
to nessuno. Romano ci spiegò in due parole 
che “era andato via”. Di più non ci fu dato 
di sapere e Daniele e il sottoscritto tirarono 
un sospiro di sollievo riprendendo la nostra 
convivenza goliardica fatta di giornate pas¬ 
sate assieme a scorrazzare giochi su e giù e 
a inventare scuse per il titolare alle nostre 
marachelle quotidiane. 

Ma questa è un’alti'a storia... 

(=) 


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Due nomi quasi dimenticati 



di Lorenzo/2 


a mia esperienza come video 
giocatore non nasce con gli 
home computer come ad esem¬ 
pio il C64 o lo Spectrum o le va¬ 
rie console Atari, Nintendo, etc... Pur essen¬ 
do un informatico “diprima generazione”, in 
realtà praticavo le macchine di calcolo della 
facoltà e gli Apple (a cominciare dal //e). 

Fu solo con l’avvento del PC IBM e in par¬ 
ticolare con la generazione dei 386 che la 
passione videoludica mi coinvolse. Era un 
periodo quello della fine del 1980 che si vive¬ 
va una stagione eccitante, forse più di quella 
che l’aveva preceduta, cioè quella degli home 
fino all’Amiga. Senza nulla togliere ai ineriti 
degli anni “ruggenti” dell’informatica-qua- 
si-elettronica, bisogna riconoscere che fu 
l’avvento del PC clone a costo abboi'dabile 
a dare una svolta decisiva all’affermazione 
dell’informatica come fenomeno di massa. 

In particolare la trasmigrazione di utenti 
skillati dal Peek-Poke sugli home verso il PC 
dotato di strumenti software di adeguato li¬ 
vello, ha interessato una intera generazione 
di programmatori/smanettoni, quelli che si 


definiscono in una parola “hacker”. 

La disponibilità di titoli ludici per PC esplo¬ 
se di conseguenza e come spesso capita, creò 
occasioni di aggregazione. Ci si scambiava¬ 
no giochi con i colleghi/amici, si frequenta¬ 
vano i club che, convertitosi al PC partendo 
dalle specializzazioni precedenti (Sinclair 
Club, Commodore Club, Amiga Club,....), 
vissero una stagione brillante alla luce del¬ 
la nuova mania del videogioco. Non c’era 
negozio di elettronica/informatica che non 
fosse fornitissimo di scatole coloratissime (e 
praticamente vuote, visto che contenevano 
quattro floppy e un manualetto di venti pa¬ 
gine...), scrigno delle più esaltanti avventure 
notturne in compagnia del fido calcolatore 
domestico. 

I copiatori andavano a mille! Praticamente 
era la prima cosa che veniva fatta quando 
si riceveva in prestito il gioco da un amico o 
dal club: si copiavano i supporti e ci si bar¬ 
camenava a scopiazzare il manuale, spesso 
chiave indispensabile per superare le prote¬ 
zioni anti-copia. 

Mi sono sempre chiesto due cose in propo- 



32 


Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 































La macchina del tempo 


sito: quale era la convenienza nel produiTe 
programmi di copia, quando i primi ad es¬ 
sere copiati erano proprio loro stessi? E se¬ 
conda domanda: veramente chi vendeva il 
gioco si illudeva che la protezione costituita 
dalla necessità di possedere il manuale po¬ 
teva essere un deterrente alla pirateria? 

Ricordo soluzioni del tutto fantasiose a 
questo proposito, con dime grafiche da so¬ 
vrappone a certe pagine, regoli circolari 
con chiavi di accesso da ricavare ruotando 
il cursore,... Invece di essere un deterrente 
secondo me stimolavano l’ingegno di quel¬ 
le persone che non mancavano mai di in¬ 
ventarsi una qualche soluzione, fantasiosa 
come la protezione o magari anche ridicol¬ 
mente semplice: un affronto alle menti dei 
progettisti! 

Non ho mai avuto risposte ai miei dubbi 
amletici. 

Tornando al “PC per giocare”, assieme ai 
giochi fiorirono le periferiche e non parlo 
solo dei joystick di varia foggia in grado di 
farci sentire al volante di una monoposto o 
davanti al cocktpit di un caccia, ma delle 
soluzioni che ovviavano alle mancanza pro¬ 
gettuali più eclatanti del sistema di IBM: la 
grafica e il suono. 

In fondo il possessore di PC era abituato 
ad aprire il cabinet per infilarci una scheda; 
non era come il possessore di Amiga che si 
trovava equipaggiato di tutto quello che po¬ 
teva servire (o quasi)! 

Ci sono quindi dei nomi che oggi sono sco¬ 
nosciuti ma che una ventina di anni fa erano 
linguaggio corrente. Ne vogliamo risentire 
due? 


Creative Sound Blaster 

La sezione audio era inesistente nel pro¬ 
getto del PC IBM. In fondo, si pensava, in 
ufficio al di là di qualche bip, di quale suo¬ 
no c’è bisogno? Però se il PC diventa una 
console da gioco (e che console, vista la sua 
crescente potenza elaborativa!) non è possi¬ 
bile prescindere da un audio a livello degli 
ultimi home dell’epoca: Amiga, Atari e per¬ 
fino Apple con il suo GS potevano vantare 
armi luce di distanza dal minuscolo speaker 
interno del PC. Infondo costruire una sche¬ 
da sonora non era poi così difficile: il chip 
Yamaha AYxx era disponibile da tempo. Il 
difficile era diventare uno standard di ri¬ 
ferimento. Ci riuscì una piccola ditta nel 
1989, la Creative, con il suo modello Sound 
Blaster. La Creative peraltro esiste ancora 
e produce accessori audio professionali o 
semi-professionali. 

Per far “digerire” la scheda al PC bisogna¬ 
va istruire il sistema operativo (il DOS) con 
una linea di comando all’interno del file AU¬ 
TOEXEC.BAT. Cominciarono così ad appa¬ 
rire scritte come: 

SET BLASTER=A 220 I5 Di 

Dove A220 è l’indirizzo della scheda (set- 
tabile via dip-switch sulla scheda stessa); I5 
è il numero di Interrupt; Di significa primo 
canale DMA. 

Come si vede, anche il giocatore meno tec¬ 
nicamente preparato una o due cosucce sul 
lato tecnico del PC le doveva sapere... 

Ovviamente dal primo modello se ne evol- 
verono altri seguendo la fame di prestazioni 
(si sa che l’appetito vien mangiando...) de¬ 
gli utilizzatori, le esigenze sonore dei giochi 
e infine l’evoluzione della tecnologia del PC 
che come minimo cambiava interfaccia del 
BUS ad ogni generazione. 


Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 


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Utilizzando un chip Yamaha YM3812, la SB 
era in grado di operare su 11 canali audio ed 
era anche una periferica di I/O per la con¬ 
versione digitale-analogica nelle due direzio¬ 
ni. Sì, la SB già all’epoca poteva fungere da 
scheda di acquisizione audio e campionare 
un segnale a 12 KHz (23 KHz erano le presta¬ 
zioni dell’audio in uscita). 

Nel 1989 costava 129$ (in Italia probabil¬ 
mente eravamo sulle 250.000 Lire o poco 
meno). Già l’anno successivo il prezzo era sce¬ 
so e i modelli si diversificavano per seguire le 
esigenze dei professionisti con prestazioni di 
tutto rispetto sull’interfaccia MIDI, e dei gio¬ 
chi per PC che praticamente da subito hanno 
supportato la scheda e il suo standard di in¬ 
terfacciamento. Nei giochi dei primi anni ’90 
era richiesta spesso la configurazione a menù 
della scheda audio e firn le scelte possibili non 
mancava mai la voce Sound Blaster. 

Un ulteriore salto epocale fu l’introduzione 
del modello “prò” che aveva a bordo l’inter¬ 
faccia per cd-rom. Anche per questa periferi¬ 
ca era necessario smanettare con ifile di con¬ 
figurazione e anche per il cd-rom la Creative 
impose un suo standard per l’interfaccia, an¬ 
che se ormai il successo delle soluzioni stan¬ 
dard-di-fatto stavano mostrando i loro limiti 
e ben presto vennero tutte assorbite nelle ver¬ 
sioni aggiornate dei sistemi operativi. 


3dfx 

Sul fronte della grafica il PC non poteva ri¬ 
valeggiare con macchine che nascevano ben 
equipaggiate, come gli Amiga ad esempio. 
Grazie alla sua architettura aperta però il PC 
poteva essere dotato di schede specializzate 
con qualsivoglia livello di prestazioni, basta¬ 
va avere i soldi per comprarsele ‘ste schede 
grafiche da paura! 

Il problema però, dal punto di vista dei pro¬ 
duttori di videogiochi era irrisolto perché 
mancava uno standard. Infatti se un pro¬ 
duttore di programmi grafici professionali 
poteva permettersi di progettare e commer¬ 
cializzare una scheda grafica proprietaria 
funzionante solo con il proprio software, la 
stessa cosa non potevano farla i produttori 
di videogiochi. 

Per la verità lo standardSuper-VGA (SVGA) 
non era malaccio: 1024x768 con profondità 
di 8-bit per pixel, ma le esigenze si stavano 
evolvendo con la necessità di avere un pro¬ 
cessore grafico per calcolare poligoni, textu- 
re e quant’altro. Si stava andando nella sta¬ 
gione degli f/s (frame al secondo): un gioco 
era bello se i movimenti erano fluidi, quasi 
come un film! 

In fondo la SVGA era uno standai'd abba¬ 
stanza vecchio: definito poco prima del 1990 
e mostrava chiari segni di vecchiaia alla 
metà degli anni fio. 

Nacque quindi uno spiraglio di mercato 
dove si infilò prontamente 
una azienda che si chiamava 
3dfs Interactive e che offriva 
in pratica un co-processore 
grafico. 

Il funzionamento era ab¬ 
bastanza striano perché per 
rispettare gli standard del 
PC il segnale video che usci¬ 
va dalla VGA usata dai pro¬ 
grammi “normali”, veniva 



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Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 
















La macchina del tempo 


deviato nella 3dfx e da questa al monitor. 
La scheda, il cui nome di pi'odotto era Voo- 
do, commercializzata dal 1996, diventava 
operativa con il caricamento in memoria di 
una libreria grafica chiamata GLIDE alle cui 
funzioni potevano appoggiarsi i programmi. 
Il primo gioco che ne fece uso fu Quake, poi 
DukeNukem, poi Doom al quale seguirono 
altri titoli dello stesso genere (sparatutto in 
pròna persona) e via via gli altri. 

Anche le schede 3dfx sono state interessate 
ad una evoluzione continua fino ad arriva¬ 
re alla tecnologia di interlacciamento: due 
schede che funzionano in pai'allelo occupan¬ 
dosi ognuna di una riga di scansione. Forse 
lo sbaglio della 3dfs Interactive fu quello di 
pensare che il modello tecnologico da loro de¬ 
finito potesse continuare indefinitivamente. 
Alla fine, dopo il forinole fallimento, la 3dfx 
Interactive fu acquistata dalla Nvidia. 

3dfx ha senza dubbio contribuito a cam¬ 
biare per sempre il settore del gioco su PC. 
Cominciò con le schede grafiche Voodoo, nel 
1996. Queste schede si potevano trovare su 
molti computer da gioco all’epoca, quasi tut¬ 
ti. Era un periodo in cui le sale giochi ave¬ 
vano ancora un relativo successo, prima che 
arrivassero le console. 

Quando i prezzi della RAM si abbassai'o- 


no, verso la fine dell’anno, 3dfx creò le sue 
schede Voodoo PCI, ormai un classico. Nello 
stesso tempo id Software pubblicava Quake, 
che introduceva un motore grafico rivoluzio¬ 
nario, per gli standard del momento, perché 
sfruttava i poligoni vettoriali invece dei pixel 
come base. Il nuovo Quake (GLQuake) sfrut¬ 
tava i vantaggi dei driver OpenGl di 3dfx, e 
divenne l’avanguardia di una rivoluzione che 
avrebbe contagiato il videogioco domestico. 
Da quel giorno in poi avremmo visto miglio¬ 
ramenti continui nella qualità delle immagi¬ 
ni, con superfici uniformi, texture strabilianti 
e velocità da record. Una tendenza che conti¬ 
nua ancora oggi. 

Nel 1998 poi 3dfx fece un ulteriore passo 
evolutivo con lo Scan-Line Interleave (SLI), 
che permetteva d’installare due Voodoo-2 
sullo stesso computer, e sommarne la poten¬ 
za (vi ricorda qualcosa?). Negli anni seguenti 
però l’azienda non trovò la strategia giusta 
per imporsi come prodotto nativo nel PC, così 
nel 2000 finì in bancarotta e venne venduta 
alla Nvidia. 

(=) 

[Reference: immagini tratte da wikipedia] 






































Super QL 



ite la verità: un Sinclair QL 
così non l’avete mai visto. 
E infatti non potete esservi 
imbattuti in esso, sempli¬ 
cemente perché questa macchina non esi¬ 
ste! Si tratta infatti di quello che oggi viene 
chiamato “concept disign” e che una volta si 
chiamava semplicemente “progetto”. 

Torniamo indietro e andiamo al 1985 in 
Inghilterra e precisamente al quartier gene¬ 
rale della Sinclair Research Limited dove si 
lavorava ad una excalation dell’informatica 
personale, così come Olive Sinclair, fondato¬ 
re di quella che fino a quel momento era una 
azienda di successo, concepiva: macchina 
innovativa, potente ma con rapporto prez¬ 
zo/prestazioni particolarmente favorevole. 

Già dal 1983 era partito il progetto ZX83 
che doveva produrre il successore dello 
Spectrum (il cui nome in codice era ZX82). Il 
progetto si era però arenato perché la sfida 
andava oltre la semplice evoluzione dei pro¬ 
dotti finora commercializzati dall’azienda. 

Le linee guida potevano essere (ci sostituia¬ 
mo nel cervello di Olive): processore potente, 


di Sonicher 

molta memoria, sistema operativo avanza¬ 
to, software di produttività potente e facile 
da usare, memoria di massa capiente e poco 
costosa. 

Le CPU c’erano, ad esempio il Motorola 
68000, un core a 32 bit potenzialmente ca¬ 
pace di lasciare al palo gli ormai obsoleti 
microprocessori a 8 bit. I chip di memoria 
venivano prodotti in quantità crescente e i 
prezzi stavano scendendo. Sisterna operati¬ 
vo e software potevano essere sviluppati con 
un certo sforzo, senza peraltro inventarsi 
nulla: video gestito a finestre, multitasking, 
un BASIC evoluto,... 

Mancava la memoria di massa, nel senso 
che i floppy potevano essere adatti ma co¬ 
stavano ancora troppo e il drive era ingom¬ 
brante e pesante anche nella versione da 
2,5”. Sir Clive Sinclair voleva una macchina 
“portatile”, perché riteneva che la sua azien¬ 
da dovesse concentrarsi su un fattore di for¬ 
ma agile. Il PC IBM era uri macigno, lascia¬ 
tecelo dire, buono per gli uffici contabili, lui 
aveva in mente ben altro. 

La caccia era aperta, anche se si decise ad 



36 


Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 










La macchina del tempo 


un certo punto di far uscire un sistema “con 
quello che era disponibile” e cioè il Quantum 
Leap con il Motorola 68001 (core a 32 bit 
ma bus a 8), il minimo di memoria necessa¬ 
ria ((128 Kb) per un sistema operativo an¬ 
cora acerbo e un Super-BASIC promettente 
ma non ancora consolidato al 100% e infine 
ifamigerati micro drive come Storage. 

Sono note le vicende legate agli annunci 
prematuri, alla raccolta dei pre-ordini e ai 
ritardi nelle consegne. Comunque il QL era 
una bella macchina per l’epoca! 

Nella ricerca di una periferica di massa de¬ 
gna di questo nome, gli ingegneri della Sin¬ 
clair Research si imbatterono in una nuova 
tecnologia che prometteva parecchio: la 
Wafer Scale Integration. Ne acquisirono i 
brevetti e cercarono, nella tradizione della 
ditta, di tirarne fuori il meglio con il minimo 
di spesa. 

Ci prendiamo un po’ di tempo per descri¬ 
vere in breve questa tecnologia, rimandano 
per chi volesse approfondire alla copiosa 
documentazione esistente in rete, a comin¬ 
ciare dalla Wikipedia. 

L’idea originale dei wafer da usare come 
super-chip, pare sia 
del britannico Ivor 
Catt nel 1975, al quale 
si fanno risalire i pri¬ 
mi brevetti. Costrui¬ 
re il super-chip è una 
cosa, poterlo utilizza¬ 
re è un’altra! E infatti 
si sono susseguiti mol¬ 
tissimi brevetti che 
intendono risolvere il 
problema principale 
di questo prodotto: 
l’individuazione auto¬ 
matica dei componen¬ 
ti difettosi e il loro iso¬ 
lamento dalla griglia 
di memorizzazione. 


Tutti sanno che i chip elettronici sono pro¬ 
dotti su un substrato di silicio attraverso 
un processo industriale che assomiglia alla 
stampa 3D: sfrati successivi vengono “inci¬ 
si” sulla superficie per ottenere transistor e 
collegamenti. Il wafer, cioè lo sfrato sottile 
che costituisce la base del processo ha for¬ 
ma circolare di diametro variabile (sono tre 
le misure standai'd industriali) e sono fette 
tagliate da un cilindro di silicio mono-cri¬ 
stallino ottenuto da un processo di crescita 
di un cristallo alimentata dal gas di-metil- 
silano. Il processo fisico e industriale è mol¬ 
to complesso seppure interessante, ma esula 
dallo scopo di questo articolo per cui non lo 
approfondiamo. Sta di fatto comunque che 
queste fette di silicio vengano “stampate” 
con chip di varie dimensioni per ottimizzare 
l’utilizzo della superfìcie e poi tagliati con un 
laser ed assemblati nei contenitori che costi- 
tuiscono i chip veri e propri da utilizzare nei 
circuiti elettronici. 

Tutta la catena del processo produce un 
certo numero di scarti: la superficie del wa¬ 
fer non è perfetta al 100% e se un chip cade 
su un “buco”, per quanto microscopico, tutto 



Il progetto ZX83 
realmente com¬ 
mercializzato. 

E’ il QL che cono¬ 
sciamo... 


Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 


37 









Dalla sabbia il 
computer. 

In realtà non 
si parte dalla 
sabbia, ma è lo 
stesso. 


il chip è da buttare. Il processo di assemblag¬ 
gio è anch’esso foriero di qualche errore ed è 
la parte industrialmente più costosa. 

E’ logico quindi che ci sia chiesto se fosse 
possibile utilizzare Finterò wafer come com¬ 
ponente elettronico invece di ricavarne chip 
singoli. La cosa è interessante per la memo¬ 
ria RAM: i chip sono minuscoli, tutti ugua¬ 
li e ne servono sempre di più in un compu¬ 
ter. Se fosse possibile inserire Finterò wafer 
come memoria di un elaboratore il costo per 
bit scenderebbe di molto. Il wafer di silicio 
è occupato da un “chippone” di memoria e i 
problemi sono quelli di indirizzare una così 
grande quantità di celle ma soprattutto quel¬ 
lo di tollerare una certa percentuale di chip 
guasti. Su questo problema lavorarono molti 
ricercatori, superando sia teoricamente che 



industrialmente le difficoltà, almeno sulla 
carta. 

Ovviamente i tempi di accesso non sono 
quelli di un singolo chip individualmente 
indicizzato, ma come memoria di massa è 
molto più performante di un floppy. E’ vero 
che c’è il problema dell’alimentazione ma con 
una batteria tampone e uno store alimentato, 
in qualche modo si affi'onta. 

I ricercatori della Sinclair Research si im¬ 
battono in questa tecnologia già nel corso del 
progetto ZX83 ma il capo, sir Olive Sinclair, 
preme per uscire e devono accontentarsi dei 
famigerati micro drive in modo da lanciare 
nel 1984 il QL. Sappiamo che l’annuncio gode 
della fama dei uno dei più grandi vaporware 
della storia informatica: in pratica la Sin¬ 
clair annuncia un prodotto che non esiste 
industrialmente e da questo seguiranno le 
delusioni dei clienti, le proteste, i bug delle 
prime release. 

Tutti gli storici dell’industria sono concordi 
nell’affermare che la Sinclair, con l’affare QL, 
pose le basi per la propria fine prematura. 

A difesa di Sinclair va comunque detto che 
praticamente nessuno, se non la Apple, capì 
che Fera del personal-gioco era finita. 


Una soluzione 
alternativa, più in 
linea con l’espan¬ 
sione di memoria 
RAM già disponi¬ 
bile per il QL. 



Il Personal Computer QL era 
un prodotto all’avanguardia, 
seppure con i problemi citati e 
avrebbe potuto fare da apripista 
per i successivi progetti di Sin- 
clair. L’adozione del Wafer pote¬ 
va far fare quel salto di qualità 
che Olive auspicava, cioè lascia¬ 
re al palo la concorrenza. Men¬ 
tre la messa a putito proseguiva 
dal punto di vista elettronico, la 
Sinclair incaricò un designer per 
il progetto della nuova macchi¬ 
na: Rick Dickinson che aveva già 
collaborato con lo staff della Sin- 


38 


Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 







Co.aa.e-e.r.a.v.a.m.o. 


La macchina del tempo 


clair in precedenti occasioni. 

Il risultato del lavoro del designer appare 
(sulla carta) quanto mai accattivante con 
l’evidenziazione della periferica Wafer e l’in¬ 
serto di colore rosso alla base della tastiera. 
Accanto alla base-tastiera Rick progetto uri 
dock, alimentato a parte che avrebbe costitu¬ 
ito il “magazzino”della memoria. Questo ele¬ 
mento viene indicato nel lavoro di Dickinson 
come “mini-stack” che doveva costituire una 
sorta di hard-disk realizzato con una serie di 
wafer in un contenitore autonomo. 

Il QL+ non riuscì ad arrivare alla fase di re¬ 
alizzazione industriale, così come rimase sul¬ 
la carta il suo successore che avrebbe dovuto 
chiamarsi Super QL, dal design avveniristico 
con il suo arrangiamento verticale e la rottu¬ 
ra totale con gli schemi precedenti(vedi foto 


in questa pagina). 

Tutto rimase sulla carta perché nel 1985 la 
Sinclair vendette adAmstrad e ogni progetto 
venne abbandonato. Al nuovo proprietario 
del marchio non interessava sperimentare 
ma solo stare sul mercato già consolidato 
dell’home svecchiando i prodotti esistenti per 
quanto più tempo fosse possibile. 

Conclusione. 

Chissà come sarebbe stato con il QL+ e an¬ 
cora di più con il Super QL! Certo non sareb¬ 
bero stati certo loro a fermare l’inarrestabi¬ 
le diffusione del PC IBM: se non c’è riuscito 
l’Amiga... Ma ora avremmo due macchine in 
più da collezionare e studiare. 

Peccato! 


Reference. 

“Delete: A Design History of Computer Va- 
pourware” by Paul AtkinsoTi 

ISBN-13: 978-0857853479 

ISBN-10: 0857853473 

Foto da Rick Dickinson: https://www. 
flickr.com/photos/ 95740 86 @No 2/ 
sets/72157600854938578/ 

Aubusson, R.C.; Catt, Ivor, “Wafer-scale 
integration-a fault-tolerant procedure,” in 
Solid-State Circuits, IEEE Journal of, vol.13, 
no.3, pp, 339 - 344 , dune 1978 

doi: 10.1109/JSSC.1978.1051050 



Il “Super QL”, il 
sogno finale di 
Sir dive Sinclair, 
mai realizzato. 


Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 


39 











Il mio Z8o 



di Gizmo 


Premessa 

Costruire oggi un microcomputer ispiran¬ 
dosi ai progetti dei primi anni ‘80, con tutta 
la documentazione reperibile e con la gran¬ 
de disponibilità di componenti sia originali 
che moderni adattabili alla bisogna e poco 
costosi, non è più appannaggio di pochissi¬ 
mi “geak”. La sfida non è quella degli anni 
‘80 ma la passione rimane quella dei “bei 
giorni” e si possono ottenere grandi risul¬ 
tati non tanto per un utilizzo reale di questi 
“fai da te”, quanto per il bagaglio tecnico che 
inevitabilmente si acquisisce nel progressivo 
superamento dei piccoli e grandi problemi 
che questa sfida propone. 

Il componente più importante, indispensa¬ 
bile addirittura, è appunto la voglia di farlo. 
È la molla che ha spinto un nostro affeziona¬ 
to lettore e appassionato di retro-informati¬ 
ca che ci ha inviato il suo progetto. 

Lasciamo quindi la parola a Stefano Bian¬ 
chini, in arte “Gizmo”. 


Perché 

o voluto costruire queste sche¬ 
da perché io sono dell’epoca del 
Commodore 64, lettore di riviste 
di elettronica nei primi anni go, dove vede¬ 
vo che realizzavano schede da connettere al 
C64 per fare varie cose, tipo accendere luci, 
lavatrici, aprire cancelli ed ero affascinato 
da queste cose. Non ero in grado allora, per¬ 
ché troppo giovane e inesperto, di cimentar¬ 
mi in tali realizzazioni. I miei pruni 15 anni 
di vita lavorativa li ho passati assemblando 
e riparando PC, ma non c’era quel gusto che 
ricordavo dalla mia adolescenza; realizzan¬ 
do questa scheda con lo Z80 ho soddisfatto il 
desiderio che avevo da ragazzino. 

L’idea 

Ci sono moltissimi siti on-line che descri¬ 
vono progetti simili a quello che avevo in 
mente. Molti offrono anche kit più o meno 
completi, ad esempio lo stampato, ma io vo¬ 
levo fare tutto da solo documentandomi e 
prendendo da ciascun progetto le parti che 
facevano al mio caso. 

Allora l’hardware di base l’ho copiato da 
un sito molto completo [1 ]. 



Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 







■I yi 


Cacciavite e saldatore... 


La realizzazione 

Ho rifatto il PCB in una versione che si 
potesse produrre con mezzi poveri [vedi 
foto 1 e 2] e ho iniziato a prendere dime¬ 
stichezza con la programmazione in C 
utilizzando il Development Kit Z88DK 
[2] poi ho iniziato a pensare come si po¬ 
tesse migliorare il progetto, ad esempio 
lui ha usato una Eprom da 32k ma il suo 
monitor software occupava solo sk il re¬ 
sto dello spazio era inutilizzato; inoltre è 
noioso caricare dalla seriale ogni volta il 
programma che si vuol far girare e per 
fare modifiche al monitor è necessario 
ogni volta riprogrammare la Eprom. 

Ho quindi realizzato un hardware per 
interfacciare una compact-fiash con il 
bus dello Z80, questa è semplicissima 


anche se vedendo altre cose che si tro¬ 
vano su internet non si direbbe. Le CF 
possono emulare un disco IDE (quindi 
con un bus a ìóbit) e diverse persone che 
hanno realizzato computer con lo Z80 (o 
altre CPU a 8bit) ingenuamente hanno 
fatto interfacce piene di chipettini logi¬ 
ci per accedere alla CF a ìóbit, ma le CF 
sono memorie a 8bit (infatti io ho scritto 
che possono emulare un disco IDE) ma 
di fatto una CF si può interfacciare DI¬ 
RETTAMENTE al bus dello Z80 senza 
nessuna logica frapposta e trasferire i 
dati 8 bit alla volta, l’unica cosa che bi¬ 
sogna fare è accedere al registro delle 
features e inizializzarla a 8bit. 

Cosi’ ho passato il tempo libero dell’e¬ 
state a scrivere le routines in C per po- 



Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 


41 

































































































































































































































ter accedere alla compact flash dallo Z8o, 
prima ho scritto le routines a basso livello 
per inizializzarla, leggere un settore, scrive¬ 
re un settore, cancellare un settore, ho fatto 
pesantemente uso di matematica a 32bitper 
poter calcolare gli indirizzi LBA, al momen¬ 
to uso solo 24bit effettivi di indirizzo + 8bit 
per impostare master/slave, quindi pos¬ 
so indirizzare 8Gb, ma il passo per usare 
un’indirizzo a 32bit intero e poter accedere 
a 512Gb è veramente minimo (anche se pro¬ 
babilmente inutile). 

Finita la scrittura delle routines per acce¬ 
dere a basso livello alla CF ho modificato il 
monitor che stava in ROM cancellando qua¬ 
si tutto il codice e trasformandolo in un bios 
che all’accensione non fa altro che caricare 
in ram i primi 48 settori della CF e poi lan¬ 
ciando l’esecuzione del primo indirizzo del¬ 
la ram, in questo modo potevo copiare in 
modo raw un mio binario sulla CF e la sche¬ 
da Z80 all’accensione avrebbe eseguito quel 
programma. Ho rimodificato il monitor di 
base della MK2 per poter girare in RAM e 
l’ho espanso aggiungendo comandi e tutte 
le routines necessarie ad accedere alla CF e 
ho sviluppato poi un file System di testa mia, 
quindi ho ottenuto un vero e proprio DOS, il 
kernel del sistema operativo occupa i primi 
48settori del disco e il file System inizia su¬ 
bito dopo, è quindi possibile riformattare la 
CF senza perdere il sistema operativo, que¬ 
sto metodo è molto simile a quello usato dai 
computer Apple. 

Al momento nell’interprete dei comandi 
che ho scritto sono presenti pochi comandi di 
base che si vedono elencati nel video quando 
chiamo “help”, ho implementato giusto ieri 
sera i parametri sulla linea di cornando: nel 
video si vede ad esempio che se faccio rnkdir, 
il cornando mi dà un dialog dove mi chiede 
il nome della directory che voglio creare, 


ora invece posso fare direttamente “rnkdir 
nome_carfella”, il binario compilato occupa 
al momento i8k, io ho scritto 40k di codice 
sorgente che non sono pochi. 

Lo stato del progetto 

Al momento mi sono messo in pausa con 

10 sviluppo software perché devo lavorare 
ma soprattutto perché’ ormai è il momento 
di evolvere l’hardware, ho già modificato lo 
schema del MK2 originale per ospitare una 
Eprom da soli 4k (più che sufficienti per il 
bios) e una RAM da Ó4k, senza fare le ca¬ 
priole con l’hardware i primi 4k della RAM 
non saranno accessibili, la scheda quindi di¬ 
sporrà di 6ok di ram utilizzabile. Sarà inte¬ 
grato a bordo lo zoccolo per la compact flash 
e devo ancora decidere il tipo di connettore 
da usare per le schede di espansione, pro¬ 
babilmente a pettine, quello usato dal tizio 
inglese per l’MK2 è veramente scomodo da 
utilizzare e va aggiunto anche un circuito 
che tiene basso il reset qualche istante quan¬ 
do alimenti la scheda perché’ la MK2 spesso 
quando viene alimentata si blocca e va reset¬ 
tata quasi tutte le volte. Il mio scopo finale è 
costruire una motherboard che sia autosuf¬ 
ficiente con un sistema operativo fàcilmente 
aggiornabile e totalmente modificabile dove 
ci si possa divertire costruendo espansioni 
hardware e scrivendo il software per farle 
funzionare, io trovo che questo approccio 
sia molto più ludico rispetto ai vari Arduino 
o Raspberry, Arduino è senzaltro una bella 
cosa ina è una MCU e non puoi vedere fisi¬ 
camente le varie parti (ram rom cpu seriali 
etc) come entità separate, sono schede più 
che alti'o pensate per far girare firmware 
per compiti specifici e non un sistema opera¬ 
tivo, invece su raspberry è già tutto fatto, lo 
prendi ci installi Linux e sostanzialmente hai 

11 software già scritto per fare praticamente 
ogni cosa, puoi aggiungere pezzi ma spesso 
pure quelli già preconfezionati ed infine svi- 


42 


Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 




Cacciavite e saldatore... 


luppare software dentro un sistema ope¬ 
rativo cosi’ complesso come Linux richie¬ 
de anche di conoscerlo bene e di sapere 
come funziona invece su questa scheda 
con lo Z8o è tutto più semplice, met¬ 
ti una periferica connessa al BUS e dal 
programma Cfai “outp(dato,indirizzo)” 
per mandargli un byte e vedere cosa fa, 
e “variabile = inp(indirizzo)”per leggere 
cosa ti manda indietro, fine, tutto sem¬ 
plicissimo. Non ho problemi ad ammet¬ 
tere che pròna di costruirla non avevo la 
minima idea di come si programmava in 
C, e ora sono qui a scrivere un SO. 

Il sito che ospita il progetto si trova al 
riferimento [4]. Nella sezione download 
del sito sono disponibili i sorgenti. 


Conclusione 

Penso che per ora quello che posso dir¬ 
vi del mio progetto è tutto qui. Ho inten¬ 
zione di migliorarlo cominciando con la 
realizzazione di una versione più profes¬ 
sionale della scheda madre e proseguen¬ 
do nel completamento del progetto come 
sistema completo stand-alone facilmen¬ 
te aggiornabile e programmabile. 

(=) 


Riferimenti 

[1] - http://www.allthingsrnicro.com/ 
index.php/projects/20-z8o-based-com- 
puter 

[2] - http://sourceforge.net/projects/ 
z88dk/ 

[3] ~ http://www.gizrnoblog.eu 

[4] - http://www.zilog8o.eu 



Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 


43 






















































DELETE. A Design History 
of Computer Vapourware 



di Sonicher 


Introduzione 

S uando ho avuto notizia di questo 
volume non ci potevo credere: un 
libro che racconta il design delle 
iature informatiche! E soprattut¬ 
to quel design che non ha mai visto la realiz¬ 
zazione industriale se non la faseprototipale 
(bruttissimo inglesismo). 

L’ho letteralmente divorato, pagina dopo 
pagina, immagine dopo immagine, disegno 
dopo disegno... E’ assolutamente fantastico! 

Quando poi in redazione si è cominciato a 
parlare di un articolo o più articoli che pren¬ 
dessero spunto dalle macchine mai realizza¬ 
te o mai commercializzate, ho colto la palla 
al balzo e ho preteso di lavorarci io a questa 
serie. Il primo “parto” è l’articolo sul Super 
QL che potete leggere in questo fascicolo. 

E’ un tema davvero affascinante: scopri¬ 
re come non la realizzazione elettronica del 
computer ma l’idea di funzionalità e bellez¬ 
za, cioè di uno “stile”, sia stata perseguita da 
dei veri maestri, come appunto Paul Atkin- 
son, autore del libro. 


Delete, cioè i progetti cancellati 

Dopo le prime realizzazioni di computer 
“horne” o comunque personali, si cominciò 
a capire che non poteva il tutto esaurirsi in 
una tastiera da telescrivente; ci voleva di 
più, anche per distinguersi dai concorrenti 
e per portare avanti il “marchio di fabbrica” 
che distinguesse l’azienda. 

Ogni realizzazione negli anni ‘80 si incana¬ 
lava verso questa idea, con poche variazioni 
e qualche “alzata di ingegno” per evolvere. 
Se ci pensate l’Apple ][ è uguale al //e che è 
quasi uguale all’Apple /// e il //c, non dico 
che non sia indistinguibile, ma come idea ge¬ 
nerale si avvicina molto ai fratelli maggiori. 

E il Commodore 64 non è il gemello del 
Vic20? Non parliamo poi delle cosiddette 
“macchine da ufficio”: i vari TRS si clonano 
generazione dopo generazione (parliamo 
della linea estetica generale). 

Sinclair era partito con il giocattolo ZX80 
per cambiare in una livrea più seria con lo 
ZX81 e poi lo Spectr'um che, d’accordo è di¬ 
verso dai predecessori, ma poi mica troppo! 


44 


Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 










I volumi che raccontano la storia dell’informatica 


SJMLoJ^Qa. 


Sinclair fu uno dei primi a capirlo che un 
sistema doveva anche essere “bello”. La pa¬ 
ternità assoluta di certe idee è diffìcile da at¬ 
tribuire, diciamo che le idee sono nell’aria e 
qualcuno che sa coglierle al momento giusto 
le fa proprie. Steve Jobs era un maestro in 
questo! 

Il T'isultato per la Sinclair Research poteva 
essere quello che viene mostrato nella coper¬ 
tina del libro e più in dettaglio nell’articolo 
che ho citato: un QL “evoluto” con degli in¬ 
serti colorati e l’inclusione di una tecnologia 
nuova in un involucro sia funzioiiale al fat¬ 
tore di forma dell’oggetto elettronico stesso, 
ma anche parte “movimentante” della linea 
estetica del sistema. 

Le pagine del volume scorrono rapide 
sotto le dita e gli occhi si riempiono di og¬ 
getti, spesso solo dei disegni o dei “concepì 
project” costruiti di plastica, giusto per dare 
l’idea di come verranno. Qualcuno si ricono¬ 
sce, qualche idea è proprio quella che poi il 
produttore ha realizzato o che ritroviamo in 
soluzioni analoghe. 

Il lavoro del design, così riassunto non vie¬ 
ne valorizzato per intero. Sembra quasi che 
sia facile arrivare alla soluzione mostrata! 
Invece ci vogliono ore e ore di lavoro per 
spostare, limare, cancellare, confrontare 
soluzioni abbozzate... E poi si aT'riva alla 
fase di progettazione vera e propria e allora 
contano anche gli ingegneri, le macchine as- 
semblatrici, il materiale, il costo di ogni ele¬ 
mento, comprese le viti che chiudono i gusci 
di plastica! 

In questa fase si scopre spesso che “l’idea 
è buona ma irrealizzabile” o che “bello, ma 
costa troppo” e altre ft'asi di giustifica per il 
taglio del progetto. 

Peccato però che IBM non abbia poi realiz¬ 
zato quei due coloratissimo home che ven¬ 
gono descritti nella pagine del volume e ci 
abbia invece rifilato un PC Junior davvero 
brutto (oltre che ciofeca dal punto di vista 
informatico). 


Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 


Ma non solo computer: ci sono anche te- 
lefonini, abbozzi di tablet, e quant’altro è 
venuto in mente di fabbricare alle industrie 
elettroniche fino al 2000 nel comparto in¬ 
formatica e telecomunicazioni. 


Conclusione 

Il libro non è dei più economici (circa 40 
Euro su Amazon) ma sono giustificati dalla 
ricchezza di immagini e soprattutto da in¬ 
formazioni e retroscena che difficilmente si 
possono reperire altrove. 

Se non intendete fare questo investimento 
per la vostra biblioteca di retro informatica, 
almeno cercate una biblioteca che lo possie¬ 
da e prendetevi un pomeriggio per sfogliar¬ 
lo; ne sarà valsa la pena. 


(=) 


Reference. 

“Delete: A Design History of Compu¬ 
ter Vapourware” by Paul Atkinson 

ISBN-13: 978-0857853479 
ISBN-10: 0857853473 


45 










SNOBOL (Parte 4) 



di Salvatore Macomer 


J l metodo migliore per imparare un 
linguaggio o anche solo per esplo¬ 
rarne le caratteristiche principali, è 
quello di analizzare i programmi via via più 
complessi. 

Ad esempio vi ricordate l’algoritmo “Bub- 
ble Sort” per ordinare un vettore di ele¬ 
menti? L’algoritmo è semplice: si procede 
esanimando un elemento del vettore e il suo 
successivo e scambiandoli di posto se non 
risultano ordinati. Scandendo n volte il vet¬ 
tore e tenendo conto del numero di scambi 
che si effettuano, ci si ritrova con il vettore 
ordinato quando l’ultima scansione non ha 
prodotto scambi. 

Come si programma un simile algoritmo in 
linguaggio SNOBOL? 

Il metodo migliore per imparare un lin¬ 
guaggio o anche solo per esplorarne le ca¬ 
ratteristiche principali, è quello di analizza¬ 
re i programmi via vi più complessi. 

Ad esempio vi ricordate l’algoritmo “Bub- 


ble Sort” per ordinare un vettore di ele¬ 
menti? L’algoritmo è semplice: si procede 
esaminando un elemento del vettore e il suo 
successivo e scaìnbiaìidoli di posto se non 
risultano ordinati. Scandendo n volte il vet¬ 
tore e tenendo conto del numero di scambi 
che si effettuano, ci si ritrova con il vettore 
ordinato quando l’ultima scansione non ha 
prodotto scambi. 

Come si programma im simile algoritmo in 
linguaggio SNOBOL? 

Nel box della pagina a fronte l’esempio 
tratto dal libro “THE SNOBOL4 PROGRAM¬ 
MINO LANGUAGE” (vedi ref), che discute¬ 
remo per capire la sintassi del linguaggio. 

Penso che tutti abbiano capito che le righe 
che incominciano con l’asterisco sono dei 
commenti. Il sorgente è scritto in maiuscolo 
perché, forse lo sapete, una volta i calcola¬ 
tori non avevano le minuscole né come ca¬ 
ratteri in memoria e ovviamente nemmeno 
sulle tastiere. 


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Jurassic News - Anno 11 - numero 57 - Febbraio 2016 







I linguaggi di programmazione 


A parte la banale definizione di una varia¬ 
bile “globale” TRIM inizializzata al valore 1, 
il sorgente definisce tre funzioni con lo state¬ 
ment DEFINE. Le tre funzioni sono: SORT, 
SWITCH e BUBBLE. 


La definizione di una funzione prevede 
di indicare il nome della funzione, fi'a pa¬ 
rentesi i parametri di ingresso chiusi nelle 
parentesi e come secondo argomento della 
DEFINE, e la lista delle variabili locali che 
saranno usate nel corpo della funzione. 


* BUBBLE SORT PROGRAM 

STRIM = 1 

DEFINE(‘SORT(N) E) 

DEFINE(‘SWITCH(I) TEMP’) 

DEFINE(‘BUBBLE(J)’) 

* GET NUMBER OF ITEMS TO BE SORTED 

N = INPUT 

: F(ERROR) 

A = ARRAY(N) 

* READ IN THE ITEMS 

READ I =1+1 

A<I> = INPUT 

: F(GO) S (READ) 

* SORT THE LIST 

GO SORT(N) 

* PRINT SORTED LIST 

M = 1 

PRINT OUTPUT = A<M> 

: F(END) 

M = M+ 1 

: (PRINT) 

* FUNCTIONS 

SORT I = LT(I, N - 1) I + 1 

: F(RETURN) 

LGT(A<I>,A<I + 1>) 

: F(SORT) 

SWITCH(I) 

BUBBLE(I) 

: (SORT) 

SWITCH TEMP = A<I> 

A<I > = Ad + 1> 

Ad + 1> = TEMP 

: (RETURN) 

BUBBLE J = GT(J, 1) J - 1 

: F(RETURN) 

LGT(A<J>, A<J + 1>) 

: F(RETURN) 

SWITCH(J) 

: (BUBBLE) 

END 



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DEFINE CSWITCH(I) TEMP’) definisce la 
funzione con nome SWITCH alla quale sarà 
passato un valore e la funzione stessa userà 
TEMP come area di memoria per fare il suo 
lavoro. Lo scopo è semplicemente quello di 
scambiare due elementi del vettore da ordi¬ 
nare. 

L’istruzione A = ARRAY(N) definisce A 
come nome di una variabile con indice ad 
una sola dimensione (un vettore) con N ele¬ 
menti. Si iloti che il valore N viene letto da 
terminale e quindi le matrici in SNOBOL 
hanno dimensione definita a run-time. 

Il ciclo: 

READ I = I+i 

A<I> = INPUT 

: F(GO) S (READ) 

riempie gli elementi del vettore A con i va¬ 
lori che passiamo da INPUT. 

Notate come l’indicizzazione degli elementi 
del vettore A faccia uso di parentesi angolari 
<>, sintassi piuttosto rara nei linguaggi di 
programmazione. 

A questo punto si chiama la funzione SORT 
passando come parametro di input la lun¬ 
ghezza del vettore N, letta precedentemente 
da console. 

SORT I = LT(I, N -1) I + 1 

: F(RETURN) 

LGT(A<I>,A<I + i>) 

: F(SORT) 

SWITCH(I) 

BUBBLE(I) : (SORT) 

Lo SNOBOL utilizza come operatori 
di confronto gli stessi del FORTRAN e 
cioè LT per LESS THAN (minore di), 

GT (GREATER THAN) per maggiore, 
etc... 

L’istruzione LT(I, N - 1) controlla se la 


scansione degli elementi è terminata. Se 
vero, cioè se l’indice I, che per la funzio¬ 
ne SORTO è una variabile locale e quin¬ 
di inizializzata all’ingresso, ha raggiunto 
la fine degli elementi del vettore A<>, 
la funzione ritorna. Altrimenti si entra 
nell’algoritmo e cioè si confrontano due 
elementi contigui del vettore e si procede 
allo scambio degli stessi se necessario. 

Con LGT(A<I>,A<I + 1>) che è il test 
di controllo se l’elemento A<I> è minore 
o uguale all’elemento A<I+1>, allora 
si continua la scansione, altrimenti si 
procede allo scambio dei due elementi 
tramite la funzione SWITCHQ. 

Gli altri elementi del programma sono 
auto esplicativi per chi conosce un po’ di 
programmazione “old style”. 

Oltre alla costruzione delle matrici tra¬ 
mite ARRAY, lo SNOBOL prevede un 
tipo strutturato chiamato TABLE che è 
una struttura indicizzata unidimensionale 
di tipo CHIAVE - VALORE. 

T = TABLEO 

crea la variabile T di tipo TABLE e con 

T<NOME> = ‘MARIO’ 

ci si riferisce all’elemento A della tabella 
e assegna ad esso il valore MARIO. 
Possiamo dire che TABLE è un record, 
nella moderna tipologia dei linguaggi 
odierni. 

La funzione di costruzione del tipo TA¬ 
BLE prevede due parametri: 

T = TABLE(M, N) 


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1 linguaggi di programmazione 


dove M è la dimensione iniziale deside¬ 
rata e N è l’incremento eventuale che si 
desidera avere se la dimensione massi¬ 
ma è insufficiente. 

Ad esempio 

T = TABLE( 20 , io) 

crea la tabella T con dimensione iniziale 
di 20 elementi e un incremento progres¬ 
sivo di dieci elementi quando necessa¬ 
rio. 

Nel box di questa pagina è riportato il 
codice di un programma che conta le 
parole in un testo. Esso fa uso di una 
TABLE, inizialmente definita di 20 ca¬ 
ratteri e poi incrementata di 10 elementi 
all’occorrenza, che sarà indicizzata 
con la parola del testo e come valore il 
numero di occorrenze di quella parola 
nel testo. 


Si noti in questo sorgente la semplicità 
di isolare la parola nel testo; si usa il 
pattern matching: 

TOKEN = END . WORD GAP 

che ha come scopo restituire una parola 
del testo, usata poi nell’indicizzazione 
della tabella. 

L’istruzione: 

COUNT = CONVERT(COUNT, AR¬ 

RAY’) 

Converte la TABLE in un ARRAY, ne¬ 
cessario per stampare in output l’elenco 
delle parole trovate e la relativa occor¬ 
renza. 

(...continua...) 



$ANCHOR 

= 1 


SEPARATOR 

= ‘ 


END 

= BREAK(SEPARATOR) 


GAP 

= SPAN(SEPARATOR) 


TOKEN 

= END . WORD GAP 


COUNT 

= TABLE(20,10) 

READ 

LINE 

= INPUT : F(PRINT) 


OUTPUT 

= LINE 


LINE 

GAP = : F(PRINT) 

NEXTT 

LINE 

TOKEN = : F(READ) 


COUNT<WORD> = COUNT<WORD> + 1 : (NEXTT) 

PRINT 

OUTPUT 

= 


OUTPUT 

= ‘WORD COUNTS ARE:’ 


OUTPUT 

= 


COUNT 

= CONVERT(COUNT, ‘ARRAY’) : F(END) 


I 

= 1 

NEXTC 

OUTPUT 

= COUNT<I,l> , = , COUNT<I,2> : F(END) 


I 

= 1+1 

END 




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Geriatrie Linux 



by Emery Fletcher 


Presentazione 

Questa personale storia di Emery Fletcher 
fa parte di una raccolta di articoli denomi¬ 
nata “Geriatrie Linux”, ospitata su Open- 
Source.org. 

Lo scopo della serie è T'accogliere le espe¬ 
rienze degli utilizzatori “senior” che si av¬ 
vicinano a Linux, spesso delusi dalle incon¬ 
gruenze dei sisterni Microsoft, e che ti'ovano 
nel software libero motivi di impegno e oc¬ 
casione di divertimento. 

Vogliamo ospitarne qualcuna sulla no¬ 
stra rivista come stitnolo per chi ha paura 
a cimentarsi in pròna persona con un cal¬ 
colatore e come testimonianza del valore 
dell’informatica non precotta, ma quella che 
si guadagna giorno dopo giorno con l’impe¬ 
gno, la curiosità e la voglia di imparare. 

Proprio come succedeva a noi trenta anni 
e più fa! 


My Linux Story 

otto nato nel 1933, un’epoca dove 
non esisteva ancora il computer, 
ma nemmeno la TV e l’energia ato¬ 
mica... Nei miei primi settanta anni non ho 
avuto alcun desiderio di cimentarmi con un 
calcolatore! 

Quando mi ritirai in pensione nel 2002 
andai a vivere in una località di montagna 
distante cinquanta miglia dalla città più vi¬ 
cina. Volendo proseguire in una attività di 
part-time per la ditta dove avevo lavorato, 
fui istruito alle basi del computer e comin¬ 
ciai a utilizzarlo. 

Avrei voluto approfondire l’utilizzo di que¬ 
sta macchina perché capivo le sue potenzia¬ 
lità quale strumento di collegamento con il 
mondo, abitando in una località così lonta¬ 
na da un ambiente cittadino. Purtroppo mi 
resi conto che avrei avuto bisogno di aiuto e 
non era facile trovarlo nella mia situazione. 

Finché non conobbi un vicino di casa che 
gestiva una attività commerciale di suppor¬ 
to informatico nella città vicina. Accettò di 



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Viaggio nei mondi reali e virtuali 


consigliarmi una macchina adatta alle mie 
esigenze, di configurarla e di assistermi per 
un prezzo che era la metà di quanto normal¬ 
mente chiedeva ai suoi clienti. 

Fu così che diventai un felice possessore di 
un nuovo PC Compaq e utilizzatore del sim¬ 
patico nuovo sistema operativo Windows 
XP. 

La possibilità di connettersi ad Internet 
era limitata ad un servizio telefonico a 2 
Kbit/sec, ma siccome dovevo inviare solo 
dei documenti, la cosa non mi disturbava 
eccessivamente. 

Questo durò finché nel tempo libero che la 
mia attività part-time mi concedeva venni 
attratto dall’esplorazione di un mondo com¬ 
pletamente nuovo per me: Internet. 

Avevo sempre pensato che fosse una spe¬ 
cie di sala giochi per ragazzini, ma dopo 
qualche anno realizzai che incredibile risor¬ 
sa era la Rete e che tipo di potere detenevo 
sotto le mie dita. 

Il computer era diventato un fedele com¬ 
pagno e giorno dopo giorno avevo voglia di 
imparare sempre di più, anche perché non 
mi sembrava così 
misterioso come 
all’inizio del mio 
incontro con esso. 

Cominciai a leg¬ 
gere molto sul 
computer e ri¬ 
masi affascinato 
da un progetto di 
sisterna operati¬ 
vo che sembrava 
sfidare tutti i mo¬ 
delli commercia¬ 
li: Linux. 

Mi affascinava 
l’idea della liber¬ 
tà, del fatto che 
fosse stato ideato 
da uno studente 


liceale e sviluppato da volontari e che venis¬ 
se usato in ambiti molto diversi e da persone 
con diverso skill. 

Mi sarebbe piaciuto provare ad usarlo ma 
temevo di rovinare qualcosa sulla mia mac¬ 
china, che mi serviva anche per lavoro e non 
potevo permettermi di rischiare di perdere 
qualcosa o di dover chiedere la reinstalla¬ 
zione daccapo di tutto il sistema e dei pro¬ 
grammi (mi sarebbe costato una piccola 
fortuna!). 

Chiesi al mio vicino di casa, con il quale 
avevo stipulato un contratto di assistenza 
e che gestiva il mio sistema, se conoscesse 
Linux. 

La sua risposta fu: “So come si scrive”. 

Capii dal tono in cui lo disse che la pensa¬ 
va come Steve Ballmer: “Linux era il cancro 
dell’informatica e bisognava starne alla lar¬ 
ga”. 

Giudicai prudente non approfondire oltre: 
il computer che ormai occupava una parte 
così importante del mio tempo dipendeva da 
quel vicino! Era lui che una volta all’anno lo 
aggiornava e lo rimetteva in ordine per l’ot- 



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timale funzionamento e era sempre lui che 
mi risolveva qualsiasi problema mi trovassi 
ad affrontare, come 1’aggiunta di una stam¬ 
pante, l’aggiornamento del programma di 
scrittura, il collegamento ad Internet con il 
modem,... insomma tutto! 

Giudicai pertanto saggio non irritare que¬ 
sta persona; infondo il suo business era l’as¬ 
sistenza informatica e viveva grazie ai ser¬ 
vizi e al software a pagamento che offriva 
alla sua clientela. Era logico che non vedesse 
di buon occhio una filosofia che metteva al 
centro l’utente e che prometteva di liberarlo 
del costo e delle pastoie delle licenze e della 
necessità di pagare degli esperti per conti¬ 
nuare a lavorare. 

Però, sia perché sono curioso di natura e 
sia perché dalle letture tecniche che avevo 
fatto, non volevo lasciar perdere l’approfon¬ 
dimento di quell’argomento. Così ho conti¬ 
nuato a leggere su Linux: ho comprato un 
paio di libri e delle riviste, scoprendo (se la 
letteratura diceva il vero) che non sembrava 
poi così difficile installarlo su un PC e prose¬ 
guire poi con l’utilizzo “normale” della mac¬ 
china, pur con programmi e comportamenti 
diversi. 

“Pròna o poi” - mi ripetevo - “farò questo 


passo! . 

Il momento fatidico venne pri¬ 
ma di quanto immaginassi: fu in 
occasione della pulizia animale 
del mio PC (si era nel 2007) che 
il mio vicino di casa me lo restituì 
dichiarando che si stava trasfe¬ 
rendo e che non avrebbe più potu¬ 
to seguirmi. 

Fui preso dal panico! Come avrei 
fatto ora, lontano cinquanta mi¬ 
glia dalla città più vicina e senza 
conoscere nessuno che mi avrebbe 
aiutato nell’aggiornamento della 
macchina e nella pulizia annua¬ 
le? E i virus? Cosa conoscevo dei 
virus e quando avrei saputo che il computer 
necessitava di aggiornamento e chi me lo 
avrebbe eseguito? 

Ero convinto che Windows non fosse affat¬ 
to un sistema semplice: sì, era semplice da 
usare ma tutt’altro da configurare, gestire e 
aggiornare! Non era un prodotto “fai da te”, 
insomma! 

C’era Linux, lo sapevo e avevo letto mol¬ 
tissimo su di esso, ma ero intimidito: con 
Windows il messaggio era: “se hai proble¬ 
mi, lasciali all’esperto”, con Linux sarebbe 
diventato: “Sei tu l’esperto!”. 

Avevo letto abbastanza per dissuadermi 
dal provare Linux direttamente sul mio PC e 
non abbastanza sicuro per lanciarmi inpar- 
tizionamento del disco, menù di boot, etc... 
(tutte cose che adesso sono banali per me). 
Tuttavia scoprì presto che un PC analogo al 
mio, con Pentium 4, da usato valeva quello 
che pagavo di manutenzione annuale! Così 
me ne procurai uno nell’aprile del 2009 da 
destinare alle prove. 

Quasi tutti i libri e le riviste su Linux inclu¬ 
devano un CD-ROM o un DVD-ROM utile 
all’installazione con varie distribuzioni. La 


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Viaggio nei mondi reali e virtuali 


mia idea era di pi'ocedere all’installazione 
una ad una di questi sistemi sulla macchina 
di prova. L’idea era di imparare il più possi¬ 
bile su questo sistema, prima di diventarne 
un utilizzatore effettivo. 

Mentile mi dilettavo con il mio nuovo gio¬ 
cattolo, accadde una cosa che mi mise in 
crisi: il mio Windows si beccò il virus Confi- 
cker. Provai a contattare il sito della Norton 
Antivirus o qualsiasi altro sito ufficiale di 
Windows che mi potesse aiutare, ma la mia 
connessione era troppo leiìta e non potevo 
proseguire per questa strada. Che fare? Mi 
decisi a prendere la macchina, guidare per 
cinquanta miglia per arrivare alla biblio¬ 
teca della città vicina, scaricare un pulitore 
adatto e rimuovere quindi ilfastidioso ospite 
dal mio sistema. 

La cosa si svolse con una naturalezza che 
non immaginavo! Solo qualche mese prima 
mi sai'ei rassegnato a consegnare la mac¬ 
china ad un negozio e ripassare a prenderla 
una settimana dopo. Ora invece sapevo cosa 
andava fatto e lo feci! 

Senza volerlo ero diventato l’amministra¬ 
tore del mio Windows! 


irmi da solo un computer con CPU a 8 core, 
una scheda grafica “da paura” e tanta, tan¬ 
tissima RAM! 

Ben presto rùnossi quello che restava di 
Windows sul Compaq, ormai vecchio di 12 
anni, che ora esegue una tranquilla distribu¬ 
zione MX-14 e lo uso come server casalingo. 

E’ incredibile quanto ho imparato con Li¬ 
nux dal 2003 in poi! Invece di usare il PC 
passivamente, come un televisore o come 
Windows vuole che tu lo utilizzi, ora ho un 
ruolo attivo e non permetterò a Microsoft o a 
qualcun alti'o di influenzare le mie decisioni 
informatiche! 

E’ stato l’inizio del mio pensionamento at¬ 
tivo! 

(=) 


Cominciai ad interessarmi anche 
di hardware e di aggiornamento 
delle mie ormai diventate 6 mac¬ 
chine con nuova RAM, schede gra¬ 
fiche più potenti, etc... 

Per il mio yg A compleanno, nel 
2012, mi regalai i pezzi per costru- 



E’ escluso che ci sarei j'iuscito senza le espe¬ 
rienze accumulate nell’installazio¬ 
ne delle distribuzioni Linux. 

Quando qualche mese dopo arri¬ 
vò la possibilità di una connessio¬ 
ne DSL, fui in grado di configurare 
tutto da solo sia su Windows che 
su Linux. 


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Nel prossimo numero l’ultima 
creatura di Chuck Peddle: il sistema 
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